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Se la cena tra Ingroia e un associato della mafia c’è stata davvero, perché Cuffaro è stato condannato?

L'ex governatore della Sicilia ad Annozero aveva raccontato di una cena tra l'ex pm e Michele Aiello, un imprenditore poi condannato per mafia. È stata diffamazione anche se «il fatto in sé della cena non è oggetto di contestazione»

Chiara Rizzo
07/11/2014 - 3:00
Interni
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cuffaro-servizio-pubblicoIl tribunale civile di Caltanissetta ha condannato l’ex governatore della Sicilia Totò Cuffaro (già in carcere dal 2011 per la condanna definitiva per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra) per aver diffamato l’ex pm palermitano Antonio Ingroia. Otto anni fa, il 16 novembre 2006, partecipando alla trasmissione Annozero, Cuffaro, replicando alle domande incalzanti che gli venivano poste, aveva infatti dichiarato: «L’ingegner Michele Aiello (poi condannato a 15 anni e mezzo di carcere in via definitiva per associazione mafiosa, ndr), tre giorni prima che venisse arrestato è andato a cena con un magistrato della procura di Palermo, il dottor Ingroia…». Per il giudice monocratico di Caltanissetta, Andrea Gilotta, con quella frase si è macchiato del reato di diffamazione, «fermo restando che il fatto in sé della cena non è oggetto di contestazione (essendo unicamente controverso il momento in cui essa sarebbe avvenuta)»: e comunque ora Cuffaro dovrà un risarcimento a Ingroia di 60 mila euro.

LA DIFESA: «CUFFARO NON VOLEVA DIFFAMARE». Ma se la cena tra Ingroia e un associato della mafia c’è stata davvero, perché allora Cuffaro è stato condannato? «Francamente non l’ho ancora capito. È incontestato, infatti, secondo quanto afferma il giudice, la verità di un episodio, ma il dato temporale semplicemente non è confermato» risponde a tempi.it l’avvocato di Cuffaro, Salvatore Ferrara: «Nel difendersi in trasmissione dalle domande che gli venivano poste dalla giornalista Rula Jebreal e dall’onorevole Claudio Fava, Cuffaro riferì che ai tempi in cui lui stesso lo aveva incontrato, cioè sino al 2003, non era noto che Aiello appartenesse alla mafia. Tant’è vero, continuava Cuffaro, che Aiello frequentava anche magistrati della procura di Palermo quali il dottor Antonio Ingroia. Nel corso dell’istruttoria è emerso che in effetti l’episodio della cena ci fu, Ingroia l’ha ammesso ma lo ha collocato in un tempo diverso».

L’ex pm di Palermo Antonio Ingroia ospite di Annozero

INGROIA: «LA CENA CI FU». Il 7 ottobre 2010 davanti ai giudici Antonio Ingroia in prima persona ha in effetti raccontato di aver incontrato Aiello, fino ai primi anni 2000 un imprenditore della sanità e del settore edile palermitano: «Ebbi modo di conoscere Aiello alcuni anni prima delle vicende giudiziarie che lo coinvolsero» (Aiello è stato arrestato nel novembre 2003, ndr). Ingroia ha quindi raccontato che Aiello «mi venne presentato come persona affidabile, titolare di un’impresa che avrebbe potuto svolgere i lavori di ristrutturazione di un immobile di mio padre. La realizzazione avvenne a cominciare dal 2002 e duro per un po’, ad opera dell’impresa di Aiello. In questo periodo ho avuto modo di vedere più volte Aiello».
Ingroia ha precisato che «appresi che emerse per la prima volta una notizia di reato a carico dell’Aiello, in seguito alle dichiarazioni di Antonino Giuffré (un pentito, ndr), in una riunione della direzione distrettuale antimafia avvenuta circa nel novembre 2002», e che ne aveva parlato al suo superiore dell’epoca, l’allora procuratore capo di Palermo Pietro Grasso. Infine ha ammesso che «è vero che la cena avvenne».
Sempre nel processo per diffamazione contro Cuffaro è stato sentito anche Pietro Grasso, che ha raccontato che nel corso dell’indagine “Talpe alla Dda” del 2003 «i procuratori aggiunti erano informati dell’esistenza delle indagini nei confronti dell’Aiello», e che ad un certo punto dell’inchiesta, nel settembre 2003 (due mesi prima dell’arresto di Aiello) Grasso convocò Ingroia per informarlo che si sospettava che il segretario di Ingroia, il maresciallo Ciuro, avesse dei rapporti con Aiello. Ha ricordato Grasso che «a quel punto Ingroia mi chiese consiglio e rilevò che alcuni operai di un’impresa edile di Aiello stavano facendo dei lavori presso una villa dei genitori dell’Ingroia. Tra l’altro questa cosa risultava in qualche modo da alcune intercettazioni tra il Ciuro e Aiello, in relazione al materiale e ai pagamenti per questi lavori. Io gli consigliai di non fare trapelare nulla, dato che le indagini erano ancora in corso, e di fare finta di nulla e di continuare i suoi rapporti con i due come se nulla fosse».

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IL TRIBUNALE: «LE VOCI SOVRASTAVANO CUFFARO». Per il tribunale di Caltanissetta, Cuffaro va comunque condannato per diffamazione perché nella puntata di Annozero, «argomentando la propria ignoranza circa le frequentazioni dell’Aiello» con Cosa Nostra «non si è limitato a sostenere che all’epoca dei fatti nemmeno alla procura di Palermo si era a conoscenza del profilo criminale dell’imprenditore» ma «ha preferito strutturare la propria difesa veicolando l’attenzione degli spettatori direttamente sulle figure dell’Aiello e dell’Ingroia e suggerendone un rapporto di frequentazione».
Insomma, per il giudice «se Cuffaro avesse articolato il proprio pensiero anteponendo all’episodio della cena il profilo dell’oggettiva impossibilità di sapere (motivato dal fatto che nemmeno la Procura era a conoscenza dei fatti relativi all’Aiello), se così si fosse espresso l’allora presidente della Regione nessun pregiudizio si sarebbe prodotto in danno alla reputazione di Ingroia».
In effetti, però, lo racconta lo stesso tribunale nisseno, Cuffaro, subito dopo aver parlato della cena tra Aiello e Ingroia (sbagliando, va sottolineato, la data in cui però essa avvenne), ha aggiunto ad Annozero una frase che non è riuscito a terminare: «Quindi nessuno di noi poteva essere nella condizione…». L’ha detta quella frase Cuffaro in trasmissione, volendo dare ad intendere che nessuno poteva conoscere la caratura criminale di Aiello prima del suo arresto, nel novembre 2003. Ma per i giudici questo non è stato sufficiente, perché nel talk show «la predetta frase fu pronunciata quasi sommessamente e in un momento in cui la sua voce veniva ormai sovrastata da quella degli altri presenti in trasmissione». La difesa di Cuffaro ora annuncia: «Stiamo valutando la concreta possibilità dell’appello».

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Tags: antonio ingroiamafiapietro grassoTotò Cuffaro
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