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«Lo chiamano cessate il fuoco. Ma i colpi di mortaio e i razzi cadenzano la giornata. Colpi sporadici, non è la pioggia di ordigni delle scorse settimane, ma quanto basta a ricordarci che siamo sempre esposti. Sempre in pericolo. Dobbiamo sbrigarci».
Tsafik Bosh e Orid Byran sono tornati dopo 14 mesi nelle loro case del kibbutz Dafna, estremo Nord di Israele, a meno di trecento metri dal confine convenzionale, la Blu line, dove si fronteggiano l’esercito israeliano ed Hezbollah. Poco più in là, Metulla e Kiryat Shmona, le principali cittadine dell’estremo Nord, sono ormai quasi completamente evacuate. Anche gli abitanti del kibbutz se ne sono andati quasi tutti, sono rimaste alcune guardie della sicurezza e qualcuno che deve occuparsi del bestiame. Escono dai bunker il tempo necessario, in tutta fretta, ad orari diversi.
Il kibbutz ha diverse stalle e le mucche devono essere accudite. Poi molti campi, coltivazioni di arance, mele, olivi rimangono incustoditi, non c’è tempo per ...
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