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C’è ancora vita sotto le macerie educative

Il libro di Antonio Polito è un appello al mondo degli adulti perché ricostruisca una “trasmissione” con i giovani

Mariarosaria Marchesano
09/11/2017 - 13:47
Società
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Rigopiano

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Che ne sarà della “generazione Alpha”, venuta al mondo dopo il 2010 e successiva ai nativi digitali bollati come “generazione Z” dagli esperti di marketing perché già simbolo di un formidabile mercato di consumo? È una delle domande centrali del nuovo libro di Antonio Polito che ha come titolo un appello a tutti i genitori (Riprendiamoci i nostri figli) affinché si riapproprino del ruolo di educatori in un mondo che ha messo in discussione ogni forma di autorità e dato troppo spazio all’emozione e al narcisismo. Polito, che conosciamo come vice direttore del Corriere della Sera e fine analista e commentatore politico, solleva un tema centrale come quello dell’emergenza educativa esponendosi in prima persona come padre di tre figli (nati in momenti diversi e distanti della sua vita) e testimone diretto di scene di vita quotidiana. «Noi diciamo ai nostri figli di studiare e la scuola li promuove anche se non studiano. Noi ci raccomandiamo di non fare uso di droghe e le star dei social sdoganano lo spinello libero. Noi li invitiamo a non buttare i soldi dalla finestra e i loro amici comprano tutto ciò che vogliono. Noi insistiamo perché leggano e la tv li spinge a tornare analfabeti», sintetizza Polito nel libro in cui ricorda anche il suo esordio come giornalista politico militante in un’epoca fortemente ideologizzata come gli anni Settanta.

Eppure, quello scontro generazionale così forte e senza precedenti, che pure ha prodotto errori ed eccessi, era preferibile al vuoto che i giovani avvertono oggi. Per un semplice motivo: chi si agitava da un lato dall’altro della barricata lo faceva in nome di un’idea, giusta o sbagliata, del bene comune. Il contrario di quello che avviene nell’epoca attuale: «La crisi della politica è un altro macroscopico aspetto della crisi di tradizione, e cioè dell’incapacità di trasmettere valori e saperi da una generazione all’altra, che produce a sua volta effetti negativi sulla formazione, la cultura, l’educazione civica dei nostri ragazzi, mutandone il rapporto con la comunità in cui vivono», spiega l’autore che contesta la tesi del “è sempre stato così”. Se, infatti, il conflitto tra generazioni non è una novità, quello che sta accadendo è però qualcosa di diverso, di molto più serio: una vera e propria interruzione del tradizionale passaggio di valori dai padri ai figli. E se già oggi si colgono allarmanti segnali di disagio nelle vite dei giovani c’è da domandarsi che cosa accadrà a «quelli che festeggeranno il Capodanno del 2100», dopo che saranno cresciuti in un mondo in cui Facebook e Twitter sono considerati superati a vantaggio di altri social come Instagram, Snapchat, Kik, Vine e Tumblr, dove, tanto per dirne una, si comunica attraverso una sorta di non linguaggio. La domanda non nasconde una condanna implicita e pregiudiziale delle nuove tecnologie, che rappresentano un’evoluzione inevitabile. È, piuttosto, una esortazione a non rinunciare al ruolo di educatori in questi ambiti in cui i ragazzi socializzano ma che sono molto più sfuggevoli di qualsiasi strada o piazza.

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Chi ha figli (ma anche chi non li ha) sa bene che la cosa più difficile per gli adulti è rappresentare un’autorità morale capace di trasmettere un patrimonio di valori, un’eredità umana che diventi la base stessa dell’esistenza. Ebbene, questo meccanismo di trasmissione sembra essersi inceppato. I genitori sono soli, insidiati da mille modelli alternativi che li contraddicono, parlano un’altra lingua, dettano altre priorità. Da questa situazione, secondo Polito, si esce cercando la solidarietà degli altri genitori, facendo rete con loro e persino condividendo alcune regole di condotta in modo che siano più facilmente accettate da figli che fanno gruppo. Il libro si conclude citando il più bell’esempio di “trasmissione di valori” certamente avvenuta tra genitori e figlio. È la storia di Edoardo Di Carlo, il bambino di otto anni rimasto intrappolato per due giorni e due notti sotto le macerie dell’albergo di Rigopiano. Senza acqua né cibo, riuscì a rassicurare e confortare senza sosta altri due bambini più piccoli di lui, Ludovica e Samuel: «In quella tragedia Edoardo ha perso i genitori. Non smetterà mai di soffrire per questo. Ma nella stessa tragedia ha trovato l’eredità che il padre e la madre gli anno lasciato, e che gli consentirà di diventare un uomo anche senza di loro».

Foto Ansa

Tags: antonio politoEducazionegiovani
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