Cattaneo: «No all’ideologia. La cura dell’ambiente va coniugata allo sviluppo sostenibile»

Di Fabio Cavallari
07 Febbraio 2023
Il lavoro fatto da Regione Lombardia è un esempio di come si possa trovare «una corretta relazione tra ambiente e persona». Intervista all'assessore lombardo
Raffaele Cattaneo
Raffaele Cattaneo, sottosegretario con delega alle Relazioni internazionali ed europee di Regione Lombardia (foto Ansa)

Con Raffaele Cattaneo, assessore all’Ambiente e Clima in Regione Lombardia, candidato a Varese e Milano nella lista “Noi Moderati – Rinascimento Sgarbi”, nella coalizione di centrodestra, a sostegno del presidente Attilio Fontana, abbiamo voluto andare oltre le quisquilie della politique politicienne, per affrontare i temi che lo hanno impegnato negli ultimi cinque anni, non solo nell’accezione legislativa ma addentrandoci nei presupposti culturali ed intellettuali che l’hanno sostenuta.

Assessore Cattaneo, in un’intervista lei ha parlato di sostenibilità concreta e non ideologica. Dicendolo ha immediatamente messo in luce una contraddizione. Non esistono versioni differenti sul concetto di sostenibilità. Essa è, laicamente parlando, una e trina, ossia ambientale, economica e sociale. Nel momento che ne viene a mancare una, non possiamo più parlare di sostenibilità. Facciamo un esempio concreto: l’area B di Milano. L’idea astrattamente potrebbe considerarsi corretta, ma i suoi effetti producono contraddizioni con la realtà. In assenza di luoghi di interscambio adeguati, con una rete ferroviaria che giunge dalla periferia (a volte estrema) con tempi estremamente lunghi, essa diventa un handicap per i meno abbienti, per chi non può acquistarsi un’auto elettrica. Non corriamo il rischio, e questo è solo un esempio, che la transizione ecologica diventi un’operazione classista?

Apparentemente tutti sostengono che la sostenibilità deve tener conto delle tre dimensioni. È scritto a chiare lettere nell’Agenda 2030 dell’Onu, lo ripetono le Istituzioni nazionali e regionali. Nella declinazione operativa delle politiche concrete però vediamo molto spesso prevalere una posizione ideologica che pone la dimensione ambientale al di sopra di tutto. Facendolo si trascurano gli effetti socioeconomici che talune scelte producono. L’esempio che veniva fatto dell’area B è preclaro. È evidente che sussiste una contraddizione. I soggetti che invocano gli scioperi per il clima sono gli stessi che inneggiano all’area B o C, ma essi non si pongono una domanda basilare: chi sono coloro che vivono all’interno di quelle aree? Ça va sans dire, i ceti sociali più abbienti. Del resto, con i costi degli affitti di un appartamento a Milano è difficile pensare che possano abitarci pensionati al minimo o disoccupati con il reddito di cittadinanza, ma neppure operai o impiegati. Tutte queste persone che risiedono nelle periferie non possono quindi nemmeno beneficiare dell’efficienza del trasporto pubblico locale della città. Come un cittadino che vive in centro anche chi abita nella cintura milanese ha bisogni e necessità, deve spostarsi per lavoro, curarsi, fare la spesa. L’auto per queste persone è assolutamente indispensabile. Impedire loro di muoversi, produce inequivocabilmente un problema di equità sociale. Con un modello di questo tipo rischiamo di mettere in crisi i più poveri, le aree di territorio più marginali. A vantaggio di chi? Di chi può permettersi auto elettriche di pregio e al contempo muoversi in taxi senza problemi. Ecco, questa è una dimensione ideologica dell’ambientalismo, perché in forza della difesa di un principio si perde di vista quel necessario equilibrio che il buon governo richiede per l’edificazione di un percorso di sviluppo reale.

Un problema di “radicalismo” che ci ritroveremo ad affrontare anche rispetto all’ampliamento dell’aeroporto di Malpensa?

Proprio così. È in corso la valutazione di imbatto ambientale sul master plan, ovvero sul Piano di Sviluppo dell’aeroporto. Ora la domanda è semplice: può una regione come la Lombardia fare a meno di un aeroporto internazionale che possa collegarla con il mondo? La risposta è lapalissiana: se vogliamo essere competitivi, dobbiamo renderci conto che esiste la necessità fisiologica di immaginare prospettive di sviluppo e crescita. Ovvio che se l’approccio è quello che non si deve toccare un metro quadrato di territorio fuori dal sedime odierno, non andremo da nessuna parte.

Io ricordo quando c’è stata la crisi di Malpensa per il Covid, e prima ancora per i problemi legati ad Alitalia, si sono persi centinaia posti di lavoro e queste persone hanno visto peggiorare la loro condizione di vita. Ecco, questa è una partita politica. Dobbiamo decidere se cadere nelle braccia di un modello che ipotizza la decrescita felice, che rappresenta un ossimoro semantico, oppure se indirizzarci verso uno sviluppo sostenibile. La Lombardia non può permettersi di seguire la cultura dell’ambientalismo ideologico, perché provocherebbe un danno irrimediabile per tutti i suoi cittadini. Al tempo stesso, è chiaro che anche il negazionismo non ha alcuna logica razionale. È indispensabile che ci sia qualcuno che abbia la capacità di riconoscere la necessità di una transizione verso un modello di sviluppo diverso ma anche la capacità di farlo in maniera equilibrata e realista.

Taluni invocano il bando dei motori endotermici per risolvere il problema dell’inquinamento alla radice.

È una provocazione astratta. Cosa vorrebbe dire concretamente? Perdere migliaia di posti di lavoro difficilmente riconvertibili nel breve periodo. Anche in questo caso, servono passi ponderati, fatti con equilibrio e giudizio.

Ascoltandola viene immediatamente in mente il rovesciamento di classe dall’alto. La sinistra erede del movimento operaio sembra aver oramai abdicato ad un progetto che miri a sviluppare politiche attive del lavoro, finendo per virare su un ecologismo radicale, ed una rivendicazione, spesso, aprioristica dei diritti civili.

Io ho l’impressione che la sinistra abbia perso la capacità di guardare la realtà, il popolo, non a caso il Pd è stato definito il partito della Ztl. Una gauche al caviale in salsa tricolore, che ha perso il rapporto con i ceti popolari, che infatti, non la votano più. Caso diverso sono i cinque stelle che alimentano e raccolgono il voto populista che non è altro che la degenerazione del distacco tra popolo e politica. Ricostruire questo rapporto è un dovere morale ed etico, ma bisogna ripartire dai bisogni reali delle persone, non da una lettura ideologica. Tutti noi dobbiamo avere l’umiltà di scendere dal nostro osservatorio e camminare tra le persone. In questi anni, magari in modo un po’ rozzo e approssimativo, il centrodestra ha cercato di offrire risposte a questi bisogni.

Torniamo ai temi del suo assessorato. Parafrasando De Gregori, “l’ambiente siamo noi”, eppure se ne parla sempre come un soggetto terzo. Si tratta di un errore dialettico o c’è alla base un pensiero che produce questa discrasia?

Non è un difetto dialettico. È la perdita del significato della parola “ambiente”, che etimologicamente vuole dire “quello che ci circonda”, ossia tutto: la natura, ma anche l’altro da noi e tutte le relazioni che compongono l’umano sentire. Papa Francesco nella Laudato si’ ci ricorda che è fuorviante l’antropocentrismo, ossia pensare che l’uomo sia al centro del tutto, ma allo stesso modo anche il biocentrismo in cui la natura appare sovrana rispetto all’essere umano. Ciò che è necessario mettere in campo è una corretta e proporzionata relazione tra ambiente e persona. Questi non sono discorsi teorici, nella pratica quotidiana questo dualismo è molto più presente di quanto possiamo immaginare. Ricordo che all’Interno dei movimenti Fridays For Future sono nati dei gruppi che teorizzano lo sciopero delle nascite. Secondo la loro logica non avrebbe senso mettere al mondo dei figli in un modo che si sta rovinando. Come dire che, visto che siamo destinati all’estinzione, tanto vale accelerarne i tempi. Una contraddizione logica che nasce da un’antropologia negativa. Poi è chiaro che le risorse non sono infinite e che dobbiamo quindi imparare ad usarle in modo diverso.

Molti opinionisti parlano di destra-centro, per indicare l’irrilevanza delle posizioni moderate.

La mia storia è chiara. Io voglio rimanere un cattolico popolare, e le assicuro che l’aggettivazione popolare non è astratta. Il punto sta proprio qui: popolare vuol dire immanente in un popolo. Il Partito popolare di Don Sturzo nasceva dalla necessità di rappresentare una moltitudine di opere, di realtà sociali, assistenziali, educative che venivano prima della politica e chiedevano rappresentanza. Quando il popolo cristiano si è indebolito come soggetto, anche dal punto di vista della sua presenza sociale, i cattolici hanno progressivamente smesso di essere popolari, sono diventati “democratici” o “sociali”, hanno guadagnato potere, ma via via perso la capacità di dialogare con le persone, di interpretarne i reali bisogni, di rappresentarli nelle istituzioni. Presenza sociale e presenza politica vanno di pari passo! Questo è uno dei motivi che spiegano perché oggi in politica i cattolici sono molto meno rilevanti di ieri. Ma mi pare che siano anche meno rilevanti nella società. La politica ha la caratteristica di portare in evidenza, di manifestare un distacco dalla realtà di cui io vedo i segni anche altrove.

Usando un’espressione gramsciana, anche i cattolici hanno perso la capacità di stabilire una “connessione sentimentale con il popolo”, ma forse basterebbe ritornare a Platone che indicava nella “giusta misura” lo strumento per affrontare i dilemmi della vita.

Tutto il pensiero greco, giudaico, romano, sostava su questo concetto. Cicerone diceva “In medio stat virtus”, ossia, la virtù sta nel mezzo. Con quella locuzione invitava a ricercare quell’equilibrio che si pone sempre tra due estremi. L’idea del “centro” dell’area moderata, come luogo che capace di interpretare questa “giusta misura”, ne è stata l’espressione politica. Io intendo rivendicare questa visione. Come diceva il compianto papa Benedetto XXVI, prima ancora di diventare Pontefice, quindi da cardinale, la politica non è reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, ma è l’esercizio del compromesso sul possibile.

Il compito della politica è proprio quello di riconoscere, tra interessi legittimi ma talvolta configgenti, una mediazione volta alla ricerca del bene comune. Questa visione del compromesso non ha nulla a che vedere con la logica dell’inciucio, anzi è la premessa necessaria per superare, o comunque governare il conflitto. In fondo che cosa è la democrazia se non proprio il sistema che propone la parola come un’alternativa alla violenza nella regolazione dei rapporti tra le persone e gli Stati? È l’idea che l’uomo deve sempre tener conto anche della ragione dell’altro e quindi individuarne il punto di incontro.

Questo sforzo contiene un grande valore, perché implicitamente significa che l’essere vivente riconosce che esiste un bene più grande della singola posizione individuale. Perdere di vista questa idea della politica, per inseguire un modello astratto, prefigura, come diceva Elliot, sistemi talmente perfetti per cui la responsabilità personale non è più una necessità. Si tratterebbe di una deriva pericolosissima.

La Laudato si’ di papa Francesco ha offerto un grande contributo di pensiero e di riflessione sui temi legati all’uomo e all’ambiente.

Da questo punto di vista il magistero di papa Francesco può considerarsi fondativo. È necessario che la politica lo sviluppi e che i cattolici, impegnati dentro e fuori la politica, diano il loro apporto originale. Soprattutto nel nostro Paese, dove l’ambientalismo è nato con un approccio di difesa radicale dell’esistente, come se la natura fosse buona e l’uomo cattivo. Ma la realtà insegna che se gli uomini non curano il bosco esso diventa una selva inospitale e pericolosa. Così accade, ad esempio, che alcuni ambientalisti invochino le ferrovie come alternativa alle autostrade ma poi quando si cerca di costruirne una, nascono immediatamente i “comitati contro”. Vogliono una gestione più efficiente e circolare dei rifiuti, ma se ipotizzi la creazione di un impianto di trattamento si scatenano in proteste.

Questo denota anche la mancanza di una presenza culturale, prima ancora che politica, del mondo cattolico e più in generale del mondo liberal-popolare nel centrodestra, rispetto al pensiero ambientalista. Questo è un vuoto da riempire. Da questo punto di vista la mia esperienza come assessore ha avuto anche questo obbiettivo: provare ad affiancare ad una serie di azioni di governo, come il risanamento del Lago di Varese, l’accordo per lo sviluppo di Malpensa o la nuova legge sulle cave, anche una programmazione ed una strategia di più ampio respiro, che si è tradotta nella Strategia Regionale di Sviluppo Sostenibile, nel Piano Regionale Energia Ambiente e Clima, nel nuovo Piano Rifiuti verso l’economia circolare, nella Strategia Regionale per la tutela della biodiversità. Documenti programmatici che hanno posto le basi per un modello diverso di sviluppo.

Quindi il 12 e il 13 febbraio votare “Noi Moderati – Rinascimento Sgarbi” non è un voto sprecato?

Quello del voto inutile è un ritornello ridondante e concretamente povero di prospettive, ancor più nelle elezioni regionali dove non c’è alcun sbarramento e si può eleggere un consigliere con meno dell’1 per cento. Che cosa conta? Eleggere qualcuno che può incidere realmente sul governo, con le idee e nei fatti. Guardiamo cosa sta accadendo nella campagna elettorale per le elezioni regionali nel Lazio, tutto il dibattito è incentrato sulla necessità di fare o meno il termovalorizzatore di Roma. In Lombardia questo problema è stato risolto venticinque anni fa. In questi giorni a Sesto San Giovanni è partita la bio-piattaforma che trasforma un vecchio termovalorizzatore di rifiuti urbani in un nuovo impianto per trattare i fanghi da depurazione. Questa è la prova che non abbiamo neppure bisogno, come dicono i Cinque stelle, di dismettere gli impianti perché c’è una naturale evoluzione verso tecnologie più avanzate di politiche strutturate che poggiano su scelte politiche oramai ben salde.

Per continuare questo percorso politico e culturale è necessario che nel prossimo governo della Regione Lombardia ci siano in Consiglio e in Giunta, persone che siano portatrici di questo metodo. Il motivo per cui io mi ricandido è proprio questo, perché ritengo che questa cultura sia ancora in grado di dare un contributo. La mia presenza in Giunta in questi cinque anni ha dimostrato che, anche se numericamente ero da solo, questo non mi ha impedito di fare un lavoro di presenza ed incisività, proprio perché avevo alle spalle una storia ed un pensiero strutturato.

Anche Noi Moderati, che non ha un consenso maggioritario, può dare un contributo importante e può essere rappresentata in Consiglio Regionale e conseguentemente anche in Giunta, dove io conto di tornare. Quindi non è affatto un voto sprecato sostenere la nostra lista. Al contrario è un voto che può assicurare un ancoraggio a quel metodo di governo che ha fatto della Regione Lombardia il modello che tutti ci riconoscono.

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