
Tentar (un giudizio) non nuoce
Il caso serio dell’immigrazione / 2

Oggi riprendiamo la riflessione sull’immigrazione cominciata la settimana scorsa.
Nel primo testo ho cercato di inquadrare il tema, cercando di offrire una premessa che conteneva nell’umano, il suo punto centrale. Ho posto in conclusione alcune domande sul “che fare”. In questa “seconda puntata” Mi interessa innanzitutto assumere come punto di partenza la realtà: affrontare la questione partendo da alcuni dati oggettivi. cercherò dunque di elencare i dati di realtà più importanti, al fine di mettere sul piano della discussione più elementi obbiettivi possibili, per non cadere da un lato nella retorica, e dall’altro nella chiusura strumentale.
Ecco: umanità e realismo a me sembrano i due alvei entro cui può scorrere un flusso di iniziative che può contribuire a una soluzione. Quali sono dunque a mio parere i “paletti” che la realtà impone se vogliamo affrontare seriamente la questione immigrazione?
1) Le migrazioni sono un fatto strutturale, non una emergenza congiunturale. Dunque, non saranno fermate dai blocchi navali, dal controllo delle frontiere, tantomeno dalle dichiarazioni politiche. Quello che si è avviato è un fatto epocale che non potrà che crescere. In particolare, da un continente come l’Africa che entro pochi decenni raddoppierà i propri abitanti, arrivando a 2,5 miliardi di persone, di cui almeno la metà giovani, che si troveranno a vivere in un territorio sempre più inospitale, anche a causa del cambiamento climatico, e certamente non in grado di generare un mercato del lavoro che possa assorbire decine di milioni di nuovi occupati all’anno. È fin troppo facile prevedere che l’immigrazione sarà la strada imboccata dai più, per l’assenza di alternative reali.
2) Al tempo stesso penso che sia chiaro e condiviso da tutti come la vera soluzione strutturale del problema stia nello sviluppo dei Paesi di origine, come è avvenuto da noi, ma per questo occorrono abbastanza tempo e ingenti risorse. Servono soluzioni strutturali che coinvolgano i Paesi di origine, anche attraverso un consenso politico e sociale che ingaggi l’intera Europa (operazione non scontata). Il Piano Mattei per l’Africa, voluto dal nostro Governo, va esattamente in questa direzione che è quella giusta. Ma per dare frutti, per vedere un’Africa che si solleva sulle gambe del proprio sviluppo, serve tempo e tanti investimenti. Non è la soluzione di domani mattina.
3) Oggi non esiste una via legale all’immigrazione: i migranti sono tutti costretti a mettersi nelle mani dei trafficanti di uomini. Il fatto che non esista una via legale per venire in Italia e in Europa è una criticità imprescindibile. Molti richiamano la necessità giusta e condivisibile di combattere i trafficanti di uomini con strumenti più adeguati, come quelli usati contro le mafie, il traffico internazionale di droga e il terrorismo. Condivido pienamente! Certamente i trafficanti di uomini sono un business criminale che va combattuto. Ma esistono innanzitutto perché oggi non c’è una possibilità concreta legale per poter emigrare. Forse è proprio questo il punto da cui dovremmo partire. Offrire una via legale, unitamente al rafforzamento delle misure di contrasto, è la più vera risposta strutturale ai trafficanti
4) Negli anni a venire la demografia drammatica dell’Italia e dei Paesi europei in generale, ci costringerà a riconoscere di aver bisogno di una certa quota di immigrazione semplicemente per mantenere il livello e le esigenze della nostra economia. Ci può piacere o no ma anche questo è un dato di realtà. Solo nel nostro Paese usciranno dal mercato del lavoro classi anagrafiche di oltre un milione di nati e ne entreranno di poco più di 300 mila. Già oggi ci sono lavori che i nostri figli non vogliono più fare. Ad esempio abbiamo 250 mila anziani non autosufficienti e 150 mila posti nelle RSA. Significa che 100 mila famiglie ogni anno devono trovarsi una badante, quasi mai italiana. Soprattutto in una prospettiva europea questi numeri possono essere molto significativi, come dimostra l’ultimo Decreto Flussi approvato dal nostro Governo lo scorso luglio: 452 mila ingressi in tre anni. Quanti sarebbero alla scala europea? Potremmo certo parlare di quei numeri abbondanti di accoglienza legalizzata che ha richiesto anche papa Francesco nei sui recentissimo discorsi e nel messaggio per la Giornata del Migrante, dove ha chiesto di «ampliare i canali per una migrazione sicura e regolare».
5) Dobbiamo però riconoscere con altrettanta franchezza che, al tempo stesso, non possiamo accogliere tutti. Soprattutto sarebbe velleitario farlo senza una prospettiva di lavoro e di vita e quindi di integrazione reale per ciascun immigrato. Tralasciando questo ultimo punto non faremmo altro che fornire nuova manodopera alla criminalità e nuova disperazione che alimenta insicurezza, diffidenza e paura nelle nostre comunità. Dire: “Accogliamo tutti indistintamente” è altrettanto velleitario e contro la dignità della persona che dire “blocchiamo le frontiere e non facciamoli arrivare”.
6) Dobbiamo considerare i numeri reali del fenomeno e non la percezione che lo amplifica. Ad esempio, chi sa che gli immigrati in Italia sono meno degli emigrati? L’Istat dice che abbiamo registrato poco più di 5 milioni di immigrati (8,5% della popolazione, non il 30% percepito dagli italiani secondo le indagini demoscopiche), cui si aggiungono 340 mila rifugiati e richiedenti asilo (di cui la metà ucraini). Gli emigrati italiani all’estero oggi sono 5,8 milioni. E del milione di migranti sbarcati a Lampedusa o sulle coste meridionali negli ultimi 10 anni ne sono rimasti in Italia circa 50 mila. Siamo un Paese di transito, non di emigrazione, siamo poco attrattivi anche per loro. Esiste, a partire da questi elementi di realtà, la possibilità di affermare un “diritto a non emigrare”, unitamente a un “diritto a emigrare con dignità”? “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare”: sono le quattro parole del Papa che sintetizzano un programma e un compito, per la Chiesa e per il mondo, ricordato questa settimana anche in un prezioso seminario della Fondazione Oasis in Università Cattolica. Aprire non solo corridoi umanitari, ma veri canali di immigrazione legali, nel rispetto della sicurezza e della dignità oltre che delle leggi, mi sembra un punto di partenza imprescindibile. Ovviamente sono consapevole che anche questo non è facile. Ma non è impossibile costruire percorsi di selezione e di formazione nei Paesi di origine, prendendo esempio da esperienze straordinarie che già esistono, come quella della Fondazione E4Impact, (presente in 20 Paesi africani con Master, progetti di formazione e accompagnamento di giovani imprenditori). Attraverso questa strada potremmo avere immigrazione formata e utile anche alle nostre imprese, qui come nei paesi di origine.
In un seminario che si è tenuto la settimana scorsa al Pirellone, organizzato dal Consigliere Matteo Forte, sono stati illustrati questo e vari altri esempi analoghi di sostegno a esperienze di integrazione reale e di sviluppo possibile nei Paesi di origine. In quella sede è stato anche ricordato che non c’è solo il rimpatrio forzato, oggi così invocato, ma di difficilissima realizzazione, come dicevo la settimana scorsa, ma anche il rientro volontario assistito, sostenuto dall’Unione Europea con un contributo economico a testa, che può essere una forma dignitosa e concreta di rientro in presenza di possibilità reali di lavoro e sviluppo. Avsi, per esempio, ha raccontato diversi esempi in tal senso.
Concludendo, e senza la pretesa di fornire l’ennesima ricetta, ma forse un modo di guardare al problema più umano e quindi più adeguato, io penso non esista una soluzione veramente umana al caso serio dell’immigrazione senza avere negli occhi e nel cuore lo sguardo del “capitano Seydou” (protagonista del film Io capitano di Garrone) e nella testa le tante esperienze limitate ma paradigmatiche di un modo diverso di affrontare il problema, generando integrazione e sviluppo. Sostenere e dare spazio a queste esperienze, secondo il principio di sussidiarietà, è un primo modo reale per fornire una risposta diversa dal mainstream, ma più buona e costruttiva. Un modo per contribuire a costruire quella “civiltà della verità e dell’amore” che invocava san Giovanni Paolo II e che rappresenta l’unica vera alternativa alla costruzione di ulteriori muri e divisioni. Muri che possiamo invocare oggi per nascondere le nostre forse comprensibili paure, ma delle cui conseguenze reali temo ci pentiremo fortemente domani, noi i nostri figli.
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