Era candidato alla poltrona di Procuratore generale a Palermo: adesso sta spaccando la magistratura mentre nubi si addensano sulla sua carriera professionale. Ma soprattutto il caso di Roberto Scarpinato, attualmente Pg a Caltanissetta, in questi giorni mette in luce i nodi più roventi del delicato rapporto tra magistratura, istituzioni e indagini. Andiamo con ordine. Fino ad un mese fa, il nome di Scarpinato circolava come quello di uno dei due contendenti alla prestigiosa poltrona alla procura generale del capoluogo siciliano. A contendere la stessa nomina c’è stato solo il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo. Lo scorso 12 giugno la commissione per gli incarichi direttivi al Csm si è però ritrovata spaccata, tra una maggioranza (composta dai rappresentanti delle correnti moderate della magistratura, Unicost e Magistratura indipendente, insieme ad un consigliere laico del Pdl) che sosteneva Messineo, e una minoranza, composta soprattutto dagli agguerriti rappresentanti di Area (il raggruppamento delle toghe di sinistra), a favore di Scarpinato. La decisione è stata rimbalzata al plenum del Csm. Già questo stop aveva procurato diversi malumori all’interno di Area: nelle mailing list della corrente per giorni si sono rincorse manifestazioni di solidarietà per Scarpinato.
Poi sono iniziati i veri dolori: prima per Messineo, che si è ritrovato al centro dello scontro con il presidente della Repubblica, che ha depositato presso la Corte costituzionale un ricorso per il conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo, per le intercettazioni che coinvolgono anche il Presidente. Non fosse bastata però questa buriana, ci ha pensato Scarpinato ad aggiungere altra carne al fuoco, facendo scoppiare un nuovo e diverso incidente diplomatico per la magistratura italiana. Scarpinato ha partecipato alle cerimonie per la commemorazione di Paolo Borsellino: quest’anno però ha deciso di leggere in pubblico una lettera dai toni “poetici” e dai contenuti al vetriolo. «Caro Paolo – è uno dei passaggi – stringe il cuore vedere tra le prime fila, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa dei valori di giustizia e di legalità per cui ti sei fatto uccidere». «Emanano – è un altro passaggio della lettera – quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi». E ancora: «(noi magistrati, ndr.) abbiamo portato sul banco degli imputati e processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei servizi segreti e della polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro. Un esercito di piccoli e grandi don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano, non sarebbero stati nessuno». Scarpinato si ferma qui, ad adombrare tutte le connivenze che egli ritiene certe tra mafia e Stato.
Un discorso che potrebbe risultare affascinante per i cultori della dietrologia, dei patti occulti e delle trattative: niente da dire se fosse stato fatto in privato. Invece sono le parole pronunciate da un procuratore generale, che ha lavorato a Palermo (dove fu protagonista nel ’92 della richiesta di archiviazione dell’indagine del Ros “Mafia e appalti”). Quelle di Scarpinato sono accuse precise e forti, parole di condanna politica che superano le condanne giudiziarie sui casi a cui si riferisce (visto che non sono state emesse sentenze sulla trattativa nemmeno in primo grado). A chi si riferisce il magistrato? Che prove o evidenze ha, visto che, piaccia o no a Scarpinato, nel caso di «politici regionali e nazionali o di alti giudici» anzi le condanne in Cassazione si sono trasformate in assoluzioni definitive (esempi storici sono state le assoluzioni di Corrado Carnevale o di Calogero Mannino)? Se un magistrato, tenuto al dovere professionale del riserbo e dell’equilibrio, si spinge ad accusare in piazza i principali vertici dello Stato, dovrebbe farlo sulla scorta di informazioni e prove dettagliate. O non dovrebbe farlo. Invece lo ha fatto, ma non risulta che abbia poi depositato informazioni davanti alla magistratura inquirente. È su questo tema che ora si sta consumando anche uno scontro interno alla magistratura. Un tema che si attorciglia su un’altra domanda: qual è il limite di un magistrato al dovere di accertare la verità giudiziaria? Può egli parlare, come ha fatto Scarpinato, di Verità tout court? In altre parole: che differenza passa tra un magistrato e, per esempio, uno storico o uno scrittore?
In seguito al discorso di Scarpinato il Csm ha chiesto l’apertura di un fascicolo per valutare l’equilibrio e la terzietà nell’esercizio del ruolo di magistrato, di cui ora si occuperanno la prima commissione Csm (trasferimenti d’ufficio per incompatibilità dei magistrati) e il Procuratore generale di Cassazione. Ma proprio in seguito all’apertura della pratica, il mondo di Area si è sollevato. Prima sono partite le mail di sgomento, di fronte alla scelta del Csm, poi un documento di solidarietà al giudice, nato proprio da Area, che in queste ore raggiunge le 170 firme e che verrà inviato al Csm. «Il discorso di Scarpinato – scrive il pm Marco Imperato – è stato un intervento altissimo, che esprimeva l’emozione per quanto successo 20 anni fa e soprattutto la sofferenza interiore di chi vede certe figure di servitori dello Stato svuotate, se strumentalizzate da persone la cui condotta politica non corrisponde a quei valori». Centosettanta nomi che però non hanno risposto ad un interrogativo ancora aperto. Che fine ha fatto – data la mancanza di riscontri specifici alle accuse mosse da Scarpinato – quel dovere del magistrato di «imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni» stabilito dall’articolo 1 del decreto legislativo 109/2006 che regola la professione? E dov’è finito, davanti ad accuse così gravi adombrate sulle istituzioni di un Paese, il dovere di terzietà ed equilibrio sancito dalla Costituzione? Per il momento, sul tema, non è pervenuta risposta.