Caro Vescovo…

Di Gianni Baget Bozzo
01 Marzo 2000
“Dopo la fine dell’Ulivo c’è una situazione nuova: il cattocomunismo è finito e ci rimane un comunismo che forte come regime crolla come governo. Cosa ci suggerisce la linea espressa solennemente dal Papa in Piazza San Pietro sulla questione della scuola?” Lettera aperta a monsignor Alessandro Maggiolini, Vescovo di Como

Caro Monsignore, lei ha fatto di Como un punto di riferimento episcopale. Un recente documento vaticano ha attirato l’attenzione dei credenti sul ruolo del singolo vescovo liberandoci dall’alto (almeno dall’alto) dalla dottrina della conferenza episcopale come esercizio della collegialità, battendo così il principio sinodale che ha distrutto la Chiesa russa. Un singolo vescovo può molto, può pronunciare il famoso contradicitur di Ilario diacono, legato di Leone Papa al latrocinium ephesinum. Spero che lei se ne ricordi sempre. E a riguardo vorrei segnalarle un’autentica chicca contro il principio della Chiesa sinodale che è uno scritto procattolico del maggior teologo russo dell’Esilio, Sergio Bulgakov. Il libro, edito l’anno scorso dalla benemerita Ad Solem di Ginevra, in traduzione francese si intitola “Sous le remparts de Chersonese” ed è una apologia unica del Primato romano nei confronti dell’Ortodossia russa e soprattutto dell’ecclesiologia di Khomiakhov che ha dominato la grande letteratura russa (a cominciare da Dostoevskij). Leggendo questo testo si ha la chiara impressione della falsa ecclesiologia spiritualista che è dietro la “Leggenda del Grande Inquisitore”. Anche il mio amore per Alioscia Karamazov ne è risultato diminuito, “La Russia e la Chiesa universale” di Soloviev è un saggio culturale, questa è densa teologia ed è la critica del principio sinodale (che oggi diremmo con parola da me aborrita comunitario: quando posso cerco di ricordare l’uso che di questa parola “comunità” fece il nazismo). Bulgakov disse di aver scritto questo testo carismaticamente, sotto ispirazioni divine. Lo ha poi rifiutato, ma mai distrutto, ed ecco ora giunge a noi come la più perfetta del ruolo della persona nella gerarchia della Chiesa al posto del sinodale e del comunitario caro al vescovo americano qui ed alla sua “Reform of Papacy”. Sottolineo che scrivo al vescovo di Como e non a Sandro Maggiolini: ut fidelis ad episcopum. Non è per la verità sull’argomento della primaziale e del sinodale, del primato e della collegialità, del vescovo e delle conferenze episcopali; ma ho sottolineato di scrivere al vescovo ricordando come il magistero spetti al vescovo come persona pubblica: anche nella conferenza episcopale più progressista d’Italia, nella città che fu patarina, Dio la benedica. L’argomento che le sottopongo l’ho già illustrato verbalmente al suo arcivescovo il cardinale Tettamanzi, e quindi mantengo l’ordo disciplina. Fatta questa premessa, caro Mons. Maggiolini, le dico le stesse cose che ho detto al mio arcivescovo. Abbiamo avuto due gestioni alla Paolo VI nella politica italiana: la prima è iniziata con il veto alla candidatura Fanfani nel ’64 ed è terminata in via Fani nel ’78. Poi abbiamo avuto un decennio wojtyliano e craxiano, che va dal ’79 al ’93, in cui il concerto tra Chiesa e Pci viene meno e si rifà con Craxi il Concordato (chissà perché i Concordati con la Chiesa hanno solo firme “pericolose”). Poi ritorna nel ’96 con Ruini e la linea pauliciana (da Paolo VI) che giunge fino ad oggi ed è così formulata: la Chiesa italiana è neutrale, il mondo cattolico vota a sinistra, coro cattocomunista in sol diesis. Dopo la fine dell’Ulivo c’è una situazione nuova: il cattocomunismo è finito e ci rimane un comunismo che forte come regime crolla come governo e perderà sicuramente le elezioni del 2001. Se non ci sarà un nuovo colpo di stato. È sperabile che la Chiesa italiana consideri finito questo lungo e disastroso periodo pauliciano e ritorni alla linea wojtyliana espressa solennemente in Piazza San Pietro sulla questione della scuola? Ciò significa fare una cosa sola: legittimare Berlusconi; non appoggiarlo, ma smetterla di unirsi al coro della sinistra contro di lui con il peggior moralismo sulla par condicio e il conflitto di interessi. Si chiede solo alla Chiesa di smettere la delegittimazione morale di Berlusconi, del Polo e di Bossi. Chiudere con la linea Paolo VI e ritornare alla linea wojtyliana che Craxi rese possibile; mantenere con i comunisti le debite differenze. In un paese diviso in due soli schieramenti, la Chiesa se sceglie la linea pauliciana si troverà sbalzata a sinistra lasciando sul campo non solo i suoi fedeli ma anche la parte politica che ha scelto di ascoltarla a cominciare dalla scuola. Io non le chiedo risposta, le chiedo solo di applicare il suo contradicitur anche in conferenza episcopale lombarda ai pauliciani che ci portano al disastro anche politico, dopo aver a contrasto quello ecclesiale. Sollevo con chiarezza un problema appunto per la chiarezza, non chiedo risposta. Caro Monsignor Maggiolini, amo le cose antiche, amo la Chiesa preconciliare e mi firmo prostrato al bacio del sacro anello (lo faccio sempre anche con il mio vescovo).

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