«Giusto stare all’erta sulla carne sintetica. E attenti all’ideologia»
Il ministro per le Politiche agricole, Francesco Lollobrigida, martedì ha annunciato la presentazione di un disegno di legge per vietare la produzione in Italia di alimenti derivati a partire da colture cellulari o tessuti di animali vertebrati, il cosiddetto cibo sintetico. Ne sono seguite polemiche, elogi e critiche. C’è chi esalta il provvedimento dell’esecutivo, chi lo boccia perché ferma la ricerca su quel tipo di cibo in Italia senza davvero fermarne il mercato (le sanzioni non si applicheranno ai prodotti legalmente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell’Unione Europea, infatti). Tempi ne ha parlato con Paolo Massobrio, giornalista, scrittore e gastronomo italiano, fondatore di Golosaria e presidente di Club Papillon.
Innanzitutto, di cosa parliamo quando parliamo di carne sintetica?
La carne sintetica viene prodotta in laboratorio utilizzando tecniche di ingegneria tissutale. In pratica, le cellule muscolari vengono prelevate da un animale e coltivate in un ambiente controllato, dove si sviluppano e si moltiplicano, creando un tessuto muscolare che può essere poi utilizzato per produrre carne sintetica. Da una sola cellula si possono ottenere fino a 10 mila chili di carne.
Perché la sua produzione è aumentata così tanto negli ultimi anni? È solo un problema “etico”?
Dal 2016 al 2022 sono aumentati dell’800 per cento i laboratori e le startup di carne in vitro. Le potenzialità almeno sulla carta sono enormi: secondo McKinsey la carne cell based nel 2030 costerà quanto quella bovina (nel 2013 ci volevano circa 290 mila dollari per produrre un hamburger) mentre per gli analisti di Barclays il valore del mercato della carne sintetica sarà di circa 450 miliardi di dollari, pari al 20 per cento del mercato attuale. Il fatto etico che sospinge il consumo di carne sintetica sarà sostenuto anche da un solido business su cui stanno investendo anche celebrità e grandi gruppi. Diverso il discorso per quanto riguarda la sostenibilità energetica perché tuttora la produzione, e questo è già un paradosso, impiega molta energia.
È vero, come dice Coldiretti, che il cibo sintetico mette a rischio il futuro della cultura alimentare nazionale, delle campagne e dei pascoli e dell’intera filiera del cibo Made in Italy? E se sì, perché?
In realtà i numeri reali sono tuttora bassi: 117 produttori in tutto il mondo. In Italia esiste Bruno Cell, una startup nata nel centro di biologia integrata di Trento, progetto di università e Provincia autonoma. Quindi no, per ora non mette a rischio nulla, ma in prospettiva può essere pericolosa e la prospettiva come si vede è accompagnata da tante giustificazioni ideologiche. L’evoluzione delle cose poi è molto più veloce rispetto al passato. Quindi non è male stare all’erta.
Come in tanti altri campi, si usa la foglia di fico della tutela dell’ambiente per giustificare o meno la produzione di carne sintetica. Chi la promuove dice che è sostenibile, chi la avversa sottolinea il suo non essere naturale e quindi contro l’ambiente. Chi ha ragione?
A questo punto stiamo entrando nel campo della follia ideologica però. L’ideologia ha fatto solo danni, in tutti i campi, e questo è l’esempio di come li stia facendo sulla nostra alimentazione, distruggendo un sistema che poteva aver trovato un suo equilibrio. Prendiamo come esempio l’Olanda, dove il governo aveva un piano per ridurre di un terzo i capi bovini, senza pensare che i concimi naturali che servono all’agricoltura verrebbero meno, per cui in assenza di essi si dovrebbe ricorrere alla chimica. Qualcuno mi spiega dove stia la sostenibilità e la scelta per l’ambiente in un provvedimento del genere? In questo caso però ci ha pensato la politica alle ultime elezioni: il partito dei contadini, bollato subito come sovranista e populista, ha preso il 18 per cento vincendo praticamente in tutte le province del paese. Come a dire: a tutto c’è un limite.
Serve una legge, come ha in mente il governo, per tutelare la filiera della carne “tradizionale” italiana, o si potrebbero pensare altri accorgimenti, come ad esempio non chiamarla “carne”, e fare in modo che sia il mercato a lasciare la carne prodotta in laboratorio in una nicchia?
Sì, intanto non è giusto che quella sintetica venga chiamata carne, anche perché non ci sono ancora studi e sperimentazioni utili e credibili sul suo effetto innocuo. Dopodiché è giusto tutelare la filiera della carne tradizionale, che ha fatto dei passi da gigante in termini di sostenibilità, negli ultimi anni, attivando anche virtuose iniziative di economia circolare.
Non solo la carne sintetica, si parla molto anche della farina di insetti. Siamo destinati a vedere cambiare la nostra dieta nei prossimi anni?
Anche qui, non credo si possa parlare di cibo bypassando un fattore fondamentale che si chiama gusto. E quello della farina di insetti pare non abbia passato la prova gradimento. Tuttavia è la filosofia di fondo che sta dietro anche a questo, ossia omologare l’alimentazione (magari in mano a pochi potenti) per gestire un potere su un aspetto fondamentale della storia umana. Si usa genericamente il tema dei paesi poveri per imporre la ricetta del Cuciniere del mondo, aggravata oggi da parole come sostenibilità e ambiente e altri ideologismi ridicoli. Detto questo, benché gli insetti siano lontani dalla nostra cultura, pare che un terzo della popolazione mondiale già si nutra di essi e che per la zootecnia rappresentino una fonte di proteine animali. Anche qui, al netto di ciò che riguarda il gusto, che non può essere sottovalutato perché sarebbe come chiudere gli occhi davanti a un’attrattiva che ci riguarda, vorrei guardare quelli che vengono annunciati come cambiamenti senza pregiudizi, ma anche con occhi bene aperti, perché dopo le armi, i popoli si soggiogano con la dipendenza al cibo e con la possibilità di accedere all’acqua. Non vorrei che certo ambientalismo spinto, in realtà, fosse un cavallo di troia, per capirci.
Il rischio dello Stato etico che con la scusa dell’ambiente decide la nostra dieta, c’è.
Voglio solo concludere dicendo che quel vento positivo che hanno portato i millennials di tutto il mondo per un pianeta pulito, oggi viene tradotto da una mentalità che, incarnata in uno Stato come ad esempio può essere l’Europa, appare come quello che deve prevedere tutto, dalla culla alla tomba. Ma così facendo un’intenzione buona diventa come la torre di Babele. Mettiamoci, a mo’ di esempio anche la battaglia innescata contro il vino, che viene definito cancerogeno. Ma non lo è qualsiasi altro alimento se si eccede nei consumi? E uno Stato pensa di risolvere i problemi mettendo sull’etichetta una scritta che richiama alla nocività? Ecco, è questa la povertà culturale che viviamo in questo momento, dove il realismo è fatto veramente fuori.
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