Pubblichiamo l’editoriale del numero di Tempi di settembre
Quando Lorenzo è entrato la prima volta in carcere non aveva nemmeno un anno. La mamma lo accompagnava a trovare il padre, «e io non ci misi molto a ritornarci, ma questa volta non come visitatore». Quattordici anni, primo arresto: carcere minorile. Poi una vita dentro e fuori fino all’ultima condanna: trent’anni in gattabuia al Due Palazzi di Padova, fine pena 2037. Lorenzo ha quarant’anni: venti li ha passati sotto il cielo azzurro a rapinare banche, venti chiuso in una cella a guardare un soffitto grigio. «Io non sono un innocente», dice Lorenzo. Ma chi lo è, in fondo?
Questo ragazzo alto due metri e dallo sguardo gentile ha raccontato la sua storia in una serata un po’ particolare al Centro culturale di Milano che ha iniziato una serie di incontri manzoniani ideati da Luca Doninelli. Come Renzo che di fronte all’Adda si impaura, così Lorenzo ha narrato il suo terrore di fronte a quel fiume che ti può affogare come salvare: la libertà. «Ogni volta che uscivo avevo in mente solo una cosa, la prossima rapina. Ero ansioso di recuperare il tempo perduto, quello che mi era stato tolto. Avere tutto, e subito. E così ci ricascavo. Ma dentro di me sentivo che qualcosa non andava, che non ero felice, non ero sereno. Che strano. Quando sei dietro le sbarre non desideri altro che la libertà, quando sei fuori non riesci a gustartela, la usi male. La usi male e fai del male. Io ne ho fatto tanto».
Lorenzo cresce e cambia, diventa un’altra persona. Al Due Palazzi inizia a lavorare alla redazione di Ristretti Orizzonti. Studia, scrive, s’ingegna; grazie ad un amico avvocato avanza richieste al tribunale di modo che per venti delle ventidue rapine che ha commesso gli sia riconosciuto di aver già scontato la pena. Un giorno gli notificano l’avviso che la sua richiesta è stata accolta: la sua pena è stata ridotta da 30 a 17 anni. «Dieci li avevo già fatti, me ne mancavano sette, ma tra buona condotta e sconti, avevo davanti a me solo un anno, un anno e mezzo». Lorenzo è felice, ma la felicità dura tre giorni. Lo chiamano in cancelleria: hanno ricalcolato gli anni di detenzione e si sono accorti di aver sbagliato. Certi momenti è impossibile dimenticarli: «Erano le 15.20 del 19 luglio. Era mercoledì. Mi dicono: “Prendi questi due sacchi neri della spazzatura, metti dentro le tue cose”. Mi è girata la testa, mi sono mancate le ginocchia, ho avuto paura. Paura di essere libero: “Ma io che faccio adesso? Che devo fare?”, ho chiesto sconvolto. “Devi uscire, non puoi rimanere qui, altrimenti è sequestro di persona”».
Lorenzo ha attraversato il corridoio del penitenziario coi due sacchetti in mano, come i polli di Renzo. Ha sentito le chiavi della guardia, quelle chiavi che aveva sentito girare tante volte nel senso opposto, aprire porte, poi altre porte, poi altre porte ancora. Poi il cancello finale, l’ultimo, quello alto.
Il primo mese non ha dormito. Si svegliava di soprassalto in un letto infuocato, avanzava come uno schermidore nel buio verso le finestre, cercando a tentoni il conforto del gelo delle sbarre. «Quando il mio vicino di casa rientrava e girava le chiavi nella toppa, mi destavo trafelato. Sognavo la mia branda, la mia scomoda e malconcia branda della cella, dove, almeno, sapevo che avrei preso sonno. Ero libero, ma non sapevo che farmene di tutta questa libertà. Ad un certo punto, ho pensato di ritornare dentro. Tornare in galera per essere di nuovo me stesso».
Il tempo ha acquietato le notti di Lorenzo. Qualche buon amico ha fatto il resto. Oggi è iscritto all’università, fa il mediatore penale. Ma il tempo non ha mortificato la scintilla: che cos’è questa libertà? E perché, se è solo fare quel che si vuole, avere possibilità di scelta, non siamo felici, soddisfatti, compiuti? Lorenzo non ha una risposta dai confini definiti a questa domanda illimitata, ma l’interrogativo non lo fa stare tranquillo, s’agita nel guazzabuglio del cuore, ogni giorno. Oggi la sua vita maledetta è stata benedetta da un’inquietudine che rende ogni istante non più banale, scontato, vano. Non è tutto a posto e la libertà è un dramma che segue percorsi zigzaganti, ma oggi c’è una strada e qualche buon amico. Tutti dovrebbero fare un po’ di galera nella vita.
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