Annamaria Cancellieri «ha aiutato una persona? Non basta. Ne ha aiutate 100? Non basta ancora. Ha segnalato mille casi? Non basta, non basta. Deve interessarsi di tutti. Non ce la fa? E allora meglio non occuparsi di nessuno». È questo, secondo don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, il ragionamento sbagliato che sottende più o meno esplicitamente alle critiche di chi in questi giorni ha chiesto le dimissioni del ministro della Giustizia per via della famigerata telefonata (intercettata e pubblicata sui giornali) in cui garantiva alla famiglia Ligresti un impegno personale per la causa di Giulia Maria, figlia di Salvatore, all’epoca dei fatti detenuta in prigione in via cautelare nonostante il suo stato di salute allarmante.
«HO GLI STESSI LIMITI». Dietro quel ragionamento sbagliato, scrive don Rigoldi in un bel corsivo pubblicato oggi dal Corriere della Sera, c’è la «convinzione che sia possibile stabilire in Terra il perfetto mondo di Dio o della Dea Ragione, un paradiso nel quale nessuno si ammala, nessuno sbaglia, nessuno muore. Io invece – continua il sacerdote – sto dalla parte del ministro Cancellieri. Sarà per i miei 40 anni passati a cercare di aiutare i ragazzi del carcere, sarà perché, come lei, non sono riuscito a dare una mano a tutti, ma mi sento molto più vicino ai suoi limiti che non a quella sconfinata volontà di potenza che mi sembra animare i critici del ministro». Perché non viviamo nel mondo delle idee ma su questa Terra, dove «la vita si determina nello spazio che si crea tra il tutto e il nulla».
INVIDIA E MALDICENZA. Altrettanto aberrante, secondo il cappellano del Beccaria, è lo scandalo di chi pretende lo scalpo del guardasigilli perché «il ministro si è interessato a una donna ricca, e i ricchi, per definizione, non soffrono e non possono avere amicizie», così come è deprecabile l’«orgia dell’invidia» di chi si ostina a insinuare che «persino il figlio del ministro è ricco, ha guadagnato milioni di euro» e dunque «deve esserci certamente un torbido nesso». Impossibile cominciare un dibattito politico con «l’esaltazione della maldicenza», commenta Rigoldi. Al quale, al contrario, il ministro Cancellieri appare «concreto e competente, (…) entra nei penitenziari, incontra i detenuti, addirittura li ascolta, e poi decide. Poiché non è ancora venuta a trovarci al Beccaria dovrei forse dire che non dovrebbe andare da nessun’altra parte?».
Infine quella frase, «contate su di me», pronunciata dal guardasigilli al telefono con la compagna di Salvatore Ligresti e che tanta indignazione ha suscitato tra i giustizialisti di casa nostra. Si trattava di una «espressione di umanità o di un disegno criminoso?», si domanda don Rigoldi. «Quante volte l’ho pronunciata io stesso ad amici e parenti di qualche mariuolo: “Contate su di me, vostro figlio non sarà lasciato solo”. Oh, certo, è una frase che deve essere stata pronunciata anche da Totò Riina e Al Capone. E dal ministro Annamaria Cancellieri». E allora?