
«Bruciarono una chiesa a Jaranwala». Tutti assolti in Pakistan

«Se la polizia non raccoglie le prove, come possono essere condannati gli imputati?». È sconfortato, Akmal Bhatti, dopo che il giudice di un tribunale di Faisalabad ha assolto per mancanza di prove dieci musulmani, indagati per aver bruciato una chiesa e devastato la casa di una famiglia cristiana nei terribili attacchi del 16 agosto 2023 a Jaranwala, in Pakistan. «Non è incompetenza», continua parlando con Tempi l’avvocato cristiano, presidente dell’Alleanza delle minoranze del Pakistan. «Hanno agito volontariamente in questo modo per impedire che venissero condannati».
Gli attacchi di Jaranwala in Pakistan
In un attacco premeditato durato circa 12 ore, 15 mila musulmani due anni fa hanno bruciato 26 chiese e devastato decine di case appartenenti ai cinquemila cristiani della città del distretto di Faisalabad. I fanatici, sulla base di false accuse di blasfemia contro due cristiani dell’area, sono stati chiamati a raccolta attraverso gli altoparlanti delle moschee e hanno colpito la comunità cristiana, bruciando anche croci e bibbie.
Come riportato da Amnesty International, 5.213 persone sono state indagate ma solo 380 arrestate. Gli altri sono ancora a piede libero. Degli arrestati, 228 sono stati rilasciati su cauzione e 77 subito prosciolti ufficialmente per mancanza di prove.
«La polizia ha ignorato le prove»
Attualmente sono in corso 23 processi per individuare i responsabili dell’aggressione. «I dieci imputati assolti erano accusati di aver bruciato una chiesa dell’Esercito della salvezza e devastato la casa di un cristiano, Siddique Masih», continua l’avvocato Bhatti.
Gli imputati, continua, «erano stati identificati dalle vittime ed erano disponibili dei filmati che li ritraevano compiere i crimini di cui erano accusati. Ma la polizia, incaricata di condurre le indagini, non ha voluto prendere in considerazione i video. È chiaro che non volevano che quelle persone venissero condannate».
Gli autori degli attacchi, spiega ancora Bhatti, «sono stati aizzati da gruppi politici e religiosi per colpire i cristiani. Il governo dovrebbe fare di più per punire chi incita la gente a compiere questi crimini».
Le chiese ricostruite dal governo
Non tutti i musulmani sono responsabili delle violenze contro i cristiani. Alcuni, come raccontato da monsignor Joseph Arshad, arcivescovo della diocesi di Islamabad-Rawalpindi, hanno protetto i cristiani, nascondendoli nelle proprie case. Altri hanno scritto versetti coranici sui muri delle abitazioni dei fedeli perché sembrassero di proprietà dei musulmani e venissero risparmiate dalla furia della folla.
Dopo l’incidente, il Chief Minister del Punjab, Syed Mohsin Raza Naqvi, ha stanziato i fondi per riparare tutte le chiese danneggiate e per ricomprare tutte le Bibbie e i rosari bruciati e distrutti.

«I cristiani vogliono lasciare il Pakistan»
L’impunità, però, genera mostri in Pakistan ed è la prima causa del perpetrarsi di nuovi attacchi ai danni dei cristiani. Il caso di Jaranwala, infatti, è solo l’ultimo di una lunga serie, come quelli di Gojra nel 2009, di Joseph Colony nel 2013, di Lahore nel 2015.
«La nostra gente è spaventata e non ha più fiducia nella giustizia», continua il presidente dell’Alleanza delle minoranze del Pakistan. «Sono decenni ormai che gli autori degli attacchi ai danni dei cristiani non vengono perseguiti e condannati. Dal momento che non ottengono giustizia, molti cristiani vogliono abbandonare il paese perché non si sentono più al sicuro in Pakistan. Tutti mi dicono che vogliono scappare. Se si facesse giustizia, la gente crederebbe nelle istituzioni, ma se le cose vanno così è impossibile».
L’avvocato cristiano non ha comunque intenzione di arrendersi. «Farò appello all’Alta Corte, spero che i giudici possano ribaltare questa sentenza». È fiducioso? «Farò del mio meglio», conclude Bhatti.
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