
Brescia, finisce il calvario di Joy: sei mesi in cella per un’omonimia
Era solo un caso di omonimia, Joy Idugboe non era colpevole di sfruttamento della prostituzione e riduzione in schiavitù, ma la procura di Napoli ci ha messo più di due anni per assolverla, tre per ridarle l’affidamento dei figli e solo in questi giorni è arrivato il risarcimento pari a 48 mila euro. E intanto la nigeriana 42enne, allora residente in una casa popolare di Brescia, ha passato sei mesi in carcere, lontana dal compagno e dai due figli.
Come scrive Avvenire, il calvario giudiziario della donna inizia circa cinque anni fa, quando una prostituta sporge denuncia per riduzione in schiavitù e sfruttamento. I magistrati autorizzano le intercettazioni telefoniche e attribuiscono la voce intercettata a Idugboe. Che per l’ordine di custodia cautelare finisce in carcere il 26 giugno 2007, prima a Brescia e poi a Pozzuoli. Subito l’avvocato della donna, Giuseppina Coppolino, si muove per farla uscire: «Già agli esordi della vicenda era emerso senz’ombra di dubbio che la mia assistita fosse vittima di un caso di omonimia». Ma il Gip del tribunale di Napoli non è convinto e rigetta l’istanza.
E mentre i figli di Joy vengono affidati a una comunità, il 28 novembre 2007 l’imputata chiede per l’ennesima volta l’esame della voce. Dopo l’esame viene scagionata ma rilasciata solo il 13 dicembre 2007. L’assoluzione definitiva arriva il 3 luglio 2008 e la restituzione dei figli il 16 settembre 2009. L’avvocato di Joy commenta così: «Una vicenda incresciosa, per la quale ho scritto al presidente della Repubblica. Pronta la sua assicurazione: indagherà il Consiglio superiore della magistratura».
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