Brescia, finisce il calvario di Joy: sei mesi in cella per un’omonimia

Di Redazione
13 Gennaio 2012
Joy Idugboe, nigeriana 42enne residente a Brescia, ha passato sei mesi in carcere per sfruttamento della prostituzione, reato che non ha mai commesso. Incarcerata nel 2007 per delle intercettazioni dove veniva accusata una persona con il suo stesso nome, le hanno tolto anche l'affidamento dei figli e solo in questi giorni è arrivato il risarcimento di 48 mila euro

Era solo un caso di omonimia, Joy Idugboe non era colpevole di sfruttamento della prostituzione e riduzione in schiavitù, ma la procura di Napoli ci ha messo più di due anni per assolverla, tre per ridarle l’affidamento dei figli e solo in questi giorni è arrivato il risarcimento pari a 48 mila euro. E intanto la nigeriana 42enne, allora residente in una casa popolare di Brescia, ha passato sei mesi in carcere, lontana dal compagno e dai due figli.

Come scrive Avvenire, il calvario giudiziario della donna inizia circa cinque anni fa, quando una prostituta sporge denuncia per riduzione in schiavitù e sfruttamento. I magistrati autorizzano le intercettazioni telefoniche e attribuiscono la voce intercettata a Idugboe. Che per l’ordine di custodia cautelare finisce in carcere il 26 giugno 2007, prima a Brescia e poi a Pozzuoli. Subito l’avvocato della donna, Giuseppina Coppolino, si muove per farla uscire: «Già agli esordi della vicenda era emerso senz’ombra di dubbio che la mia assistita fosse vittima di un caso di omonimia». Ma il Gip del tribunale di Napoli non è convinto e rigetta l’istanza.

E mentre i figli di Joy vengono affidati a una comunità, il 28 novembre 2007 l’imputata chiede per l’ennesima volta l’esame della voce. Dopo l’esame viene scagionata ma rilasciata solo il 13 dicembre 2007. L’assoluzione definitiva arriva il 3 luglio 2008 e la restituzione dei figli il 16 settembre 2009. L’avvocato di Joy commenta così: «Una vicenda incresciosa, per la quale ho scritto al presidente della Repubblica. Pronta la sua assicurazione: indagherà il Consiglio superiore della magistratura».

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