Anticipiamo un articolo tratto dal numero del settimanale Tempi in edicola da giovedì 10 settembre – Un bambino vive con la madre biologica e quest’ultima ha una compagna. Inizia l’anno scolastico e la madre può avere problemi ad accompagnarlo o a riprenderlo dall’asilo; nulla vieta che vi provveda la convivente: è sufficiente che all’avvio delle lezioni la madre consegni all’istituto una delega permanente, valida fino a revoca. Intendiamoci: non c’è uno strumento specifico per la compagna: c’è però un mezzo semplice per risolvere la questione. Al sindaco di Bologna non basta.
Il sindaco di Bologna ritiene di essere stato eletto non tanto per rispondere a problemi concreti, quanto per esercitare una missione: fare da battistrada nelle battaglie “per i diritti”. Un paio d’anni fa per le scuole comunali del capoluogo emiliano sostituì i termini desueti di “padre” e “madre” con quelli più affettuosi di “genitore 1 e 2”; qualche giorno fa ha varato il “modulo di autocertificazione di famiglia omogenitoriale”: a parte l’orrido burocratese, è il corollario del registro di trascrizione in Italia dei “matrimoni” same-sex contratti all’estero.
Chi ha criticato la genialata del sindaco Merola ha sottolineato che il modulo è inutile, che è contrario all’ordinamento, che punta ad anticipare una legge – il ddl Cirinnà – ancora in discussione. Tutto vero; ma c’è di più: la decisione del sindaco è l’ennesimo sintomo di un’ansia compulsiva di imposizione ideologica. Bologna avrà pure meno problemi di Roma o di Napoli, ma è comunque una grande città che offre non poche occasioni di impegno quotidiano e assiduo a chi desideri guidarla. Ma se quel sindaco uscisse da logiche di settarismo ideologico e provasse a rendere più sicuro e attraente il centro, più ordinate le periferie e più pulite le strade, che “merito politico” avrebbe?
Ciò di cui si dibatte nel giorno del Comune di Bologna non è poi così dissimile da quel che oggi anima il Parlamento: se in commissione Giustizia al Senato si dedicano ore e ore alla discussione e al voto del ddl sulle unioni civili e se il presidente del Consiglio e qualche ministra rassicurano sulla sua rapida approvazione, è perché lo si ritiene prioritario. Certamente più di norme che permetterebbero alle famiglie italiane – la stragrande maggioranza delle quali non sono “omogenitoriali” – di essere meno oppresse dal fisco; o di delibere comunali che impongano per gli asili rette più accessibili ai nuclei familiari con problemi economici.
Una spesa a fondo perduto
A chi obietta che queste misure costano e non ci sono le risorse per finanziarle è agevole rispondere che anche il matrimonio gay implica un aumento di spesa: si pensi solo alla estensione della pensione di reversibilità; ma in questo caso ci si trova di fronte a un costo senza ritorno, mentre il denaro rivolto alle famiglie vere si traduce in un investimento e in nuovi figli che vengono messi al mondo. La prospettiva degli uni è il suicidio demografico (copyright: san Giovanni Paolo II), degli altri il faticoso recupero del tessuto umano della comunità nazionale.
Mezzo secolo fa chi metteva in guardia dalla gloria del socialismo realizzato era etichettato nella migliore delle ipotesi come un retrogrado; di regola lo si bollava come fascista. Chi ha buon senso lo usi: non ci si può permettere ancora a lungo la sbornia ideologica libertaria con la stessa leggerezza usata con la sbornia ideologica che in Italia e in Europa per decenni si è abbeverata al comunismo. I danni saranno ancora più pesanti.
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