Oggi anche Avvenire riferisce delle intimidazioni e insulti che la comunità Papa Giovanni XXII, fondata da don Oreste Benzi, riceve ultimamente. Accade questo: una volta alla settimana, alcuni di loro si ritrovano davanti a un’ospedale per recitare il rosario. Lo fanno in maniera discreta, fuori dalle strutture. La recita dura più o meno un quarto d’ora: si prega per i bambini abortiti e per le loro madri.
Solo che, da un po’ di tempo, gruppi antagonisti e femministe li disturbano, cercano di cacciarli via. Come vi abbiamo raccontato qui, durante un recente incontro nel capoluogo emiliano, il gruppo di sinistra “Yo decido” ha paventato l’idea di «andare domenica mattina in San Petronio con lubrificanti, spermicidi e profilattici». All’assemblea ha partecipato anche la presidente del consiglio comunale Simona Lembi (Pd) secondo cui questi momenti di preghiera non si dovrebbero tenere.
DA 15 ANNI. E perché mai? In Italia non esiste più la libertà di espressione? «Abbiamo deciso – racconta ad Avvenire Giovanni Paolo Ramonda, il successore di don Benzi – che non avremo più un giorno fisso ma settimana per settimana cambieremo, perché non vogliamo assolutamente andare a uno scontro su un’iniziativa che a Bologna portiamo avanti da 15 anni senza mai aver avuto problemi, nel rispetto delle norme, con la questura sempre al corrente della nostra preghiera. Sia chiaro che noi continueremo: pregheremo in pubblico davanti agli ospedali come facciamo da anni tutte le settimane alle 7 del mattino, estate e inverno, col caldo e con la neve, perché noi siamo dalla parte delle donne, che abortiscono in quanto lasciate sole».
OFFERTA DI UN AIUTO. Accade a volte che alcune donne si fermino a scambiare qualche parola. Così scoprono che i partecipanti al rosario non si limitano a pregare ma offrono un aiuto a chi lo desideri. «Offriamo un supporto concreto – spiega Ramonda – e, se queste madri vogliono far nascere il bambino, non le abbandoniamo. La lunga esperienza ci ha dimostrato che oltre i due terzi delle donne che erano orientate all’aborto, quando viene loro offerto un valido aiuto, vogliono far nascere il figlio e questo dimostra che l’aborto non era una scelta libera ma di disperazione». «Circa un quinto delle 573 mamme che solo nel 2013 sono state prese in carico dal nostro Servizio maternità difficile ha denunciato di aver ricevuto pressioni ad abortire».
(la foto in pagina fa riferimento ad un altro episodio accaduto a Bologna nel dicembre 2013 – ve ne avevamo parlato qui)