Il bisogno di giustizia e verità che resta 50 anni dopo il Bloody Sunday

Di Emmanuele Michela
01 Febbraio 2022
La marcia di Derry di due giorni fa, un processo di pace ferito dal passato e un libro da leggere per capire la stagione di sangue vissuta dall'Irlanda del Nord
Murale Bloody Sunday
Un particola di un murale a Derry che ricorda gli incidenti del Bloody Sunday (foto Ansa)

Quando Micky MacConnell scriveva “Only our rivers run free” aveva solo 17 anni, collaborava con il giornale del suo paese – nel Nord Irlanda – ed era stato mandato a seguire l’assegnazione di alcuni alloggi popolari: la frustrazione che gli sorse nel vedere le abitazioni concesse solo a famiglie protestanti a danno delle cattoliche gli dettò quella canzone, inno struggente che piange le ferite di un conflitto che ancora si doveva aprire in tutto il suo dolore (era “solo” il 1965, i due decenni successivi sarebbero stati una mattanza continua), ma è ben più profondo di un semplice canto politico.

Illumina la finitezza della vita, i piaceri che inseguiamo e che poi deludono, una libertà che mai è stata concessa a quella terra. E c’è un grido, «where are you now when we need you», così generico in quel “tu” a cui si rivolge, che ancora oggi è un’invocazione per l’Ulster. Dove ormai si vive una situazione di pace sostanziale dagli accordi del 1998 che però si scontra, con terribile ripetitività, con un passato lancinante e verità mai del tutto accertate.

Il mezzo processo al “Bloody Sunday”

È il caso della strage di Derry accaduta 50 anni fa: era il 30 gennaio 1972 quando una manifestazione per i diritti civili fu interrotta dagli spari dei paracadutisti britannici. Sull’asfalto rimasero 13 persone senza vita, una 14esima sarebbe poi morta 6 mesi dopo in ospedale dove era stata portata ferita. Qualcuno era giovanissimo – 6 vittime erano 17enni – e non furono pochi i repubblicani che, a seguito di quella risposta violenta a una manifestazione pacifica, avrebbero deciso di abbracciare la via armata dei Provos dell’Ira.

Cinque decenni dopo, ciò che resta è il bisogno di giustizia e verità: una prima inchiesta fu considerata un misero tentativo di insabbiamento attuato dalle autorità britanniche, mentre quella più recente, il Saville Report, ha certo fatto più luce su responsabilità e innocenza delle vittime, ma ha lasciato l’amaro in bocca ai famigliari. Solo un soldato dei 18 presenti quel giorno a Derry è andato a processo, per altro interrottosi nel 2021.

«Non dire niente»

Anche per questo, il 30 gennaio, a Derry famigliari e comunità hanno marciato, stufi delle mezze verità. Quelle che tornano a riemergere come uno spettro ogni volta che ci si avvicina a questo episodio, rimasto sullo sfondo di un processo di pace che, per quanto chiuso, è sempre dibattuto, ancor più in un momento in cui la Brexit ha messo in discussione i legami e le frontiere tra Irlanda del Nord, Gran Bretagna e Repubblica irlandese. Il “Bloody Sunday” ha un che di paradigmatico che vale per numerosi altri capitoli di quella stagione: per quanto la pace non sia in discussione, la realtà dei fatti che hanno insanguinato i Troubles non è mai stata del tutto appurata, e ogni nuova rivelazione sembra affondare un colpo durissimo sulla credibilità degli accordi di Belfast del ’98.

È l’impressione che si ha nel leggere il libro “Non dire niente”, risultato di un lunghissimo lavoro di ricerca sul campo di Patrick Radden Keefe. Il volume è uscito nel 2021 in italiano per Mondadori è vuole fare luce su uno dei delitti peggiori di questo conflitto, ovvero l’uccisione di Jean McConville, protestante madre di 10 figli, che scomparve nel dicembre 1972. L’Ira riteneva quella donna – una vedova che cresceva i suoi figli nella povertà della periferia di Belfast – una spia britannica, così la rapì: divenne il più noto caso degli “scomparsi”, poiché il suo corpo sarebbe stato ritrovato solo nel 2003 su una spiaggia.

Il libro racconta nel dettaglio la storia, intrecciandola alla misera esistenza cui furono destinati i figli, nonché ai percorsi di Dolours Price – militante dei Provos tra le accusate del rapimento – e di Gerry Adams, guida dello Sinn Fein – partito politico che si batte per unificare i due Paesi sulla strada repubblicana –, all’epoca dei fatti ritenuto membro dell’Ira e mandante di quel rapimento. Adams fu arrestato nel 2014, ma rilasciato dopo 4 giorni: le prove su di lui erano ritenute insufficienti.

Dubbi sul processo di pace

Keefe nel suo libro dà voce ad alcuni ex membri dell’Ira (come Brendan Hughes e la stessa Dolours Price) che sono inamovibili sulle responsabilità di Adams – che invece appare sempre abile a mischiare le carte e negare perfino la sua appartenenza all’Ira – e racconta del clamoroso ruolo giocato dal Boston College, università americana che ha raccolto alcune testimonianze di membri repubblicani e unionisti sui Troubles, rilasciate dai diretti interessati a una condizione, essere tenute segrete almeno sino alla loro morte. Nell’ambito del processo sulla scomparsa di Jean McConville, alcuni di questi nastri sono stati però concessi al tribunale impegnato nelle indagini, rompendo i patti presi coi militanti, e gettando non pochi dubbi sul processo di pace, di cui Adams è stato uno degli architetti.

«Puoi incontrare Dio anche in mezzo ai Troubles»

Perché, in fondo, questo è il punto: la verità ha il suo prezzo, e può essere salatissimo per questa terra, dove le cause penali per delitti commessi all’epoca dei Troubles fioccano ancora oggi. Con quel passato è difficile fare pace, trovare un punto di incontro, non leggere con faziosità episodi e uccisioni. Eppure, nel libro di Keefe c’è una figura che sfugge a questa logica. È padre Alec Reid, sacerdote di Belfast, reso celebre da uno scatto in cui benedice i corpi di due militari linciati dalla folla repubblicana, negli anni Ottanta.

Aveva fatto di dialogo, compromesso e perdono le sue armi: c’era riuscito perché era sicuro che «puoi incontrare Dio anche nel bel mezzo dei Troubles». Mentre lo diceva, muoveva in gran segreto incontri e carte per favorire il cessate il fuoco, confidando in tutto e per tutto nell’incontro tra le parti, e nella possibilità che ogni rancore potesse spegnersi trovando un terreno comune. Succedeva tra anni Ottanta e Novanta, ma dalle parti di Belfast ce n’è ancora bisogno.

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