31 DICEMBRE 2005. Silvio Berlusconi è al governo, a breve ci saranno le elezioni. Il Giornale pubblica un’intercettazione dell’allora capo dei Ds (ora Pd) Piero Fassino. La conversazione, coperta da segreto d’ufficio, nei giorni seguenti viene ripresa da altri giornali, compresa Repubblica (2 gennaio 2005).
Passano otto anni. Per aver ascoltato quella intercettazione, e averla fatta pubblicare nel giornale di famiglia, Silvio Berlusconi è condannato dal Tribunale di Milano a un anno di carcere. Repubblica e il direttore Ezio Mauro gioiscono, lamentando la natura infamante di quella pubblicazione (riferendosi allo scoop del Giornale). La conversazione di Fassino era irrilevante, segretata. Era fango, insomma, gettato contro il leader dell’opposizione. Un fatto gravissimo pubblicarla.
12 DICEMBRE 2007. Romano Prodi è al governo, a breve ci saranno le elezioni. Repubblica pubblica una conversazione tra Silvio Berlusconi e Agostino Saccà. Berlusconi è all’opposizione e l’intercettazione è coperta dal segreto d’ufficio. Il 20 dicembre 2007 l’Espresso ne pubblica l’audio. Per l’intera campagna elettorale e oltre, il gruppo editoriale di proprietà di Carlo De Benedetti, sedicente tessera numero 1 del neonato Partito democratico, continua la pubblicazione delle intercettazioni, illecitamente ricevute da una talpa della procura di Napoli. La procura di Roma, in seguito, dichiarerà che si trattava di intercettazioni irrilevanti.
UGUALI DI FRONTE ALLA LEGGE. «È pacifico che l’articolo del giornale conteneva riferimenti e accertamenti istruttori che al momento della divulgazione dello stesso dovevano considerarsi coperti dal segreto investigativo». Così, nel 2009, la procura di Roma, chiedendo l’archiviazione di Berlusconi e Saccà (e il macero delle intercettazioni, ritenute irrilevanti), commenta quello che è accaduto due anni prima a Napoli. Qualcuno aveva commesso un reato. La fuga di notizie che aveva consentito a Repubblica di ottenere informazioni sul capo dell’opposizione, in prossimità delle elezioni, non culminerà in un processo però (come invece è accaduto a Berlusconi e al Giornale). Vero, la procura di Napoli, subito dopo lo scoop (fango?) di Giuseppe D’Avanzo, manda la Guardia di Finanza nella sua abitazione. Però l’inchiesta si ferma lì. Nel cellulare del giornalista d’assalto vengono trovati numeri telefonici di molti magistrati campani.
Stesso reato, nessun processo. Allora tutto si concluse con una archiviazione. Non si poté trovare, spiegò la procura di Roma, nel 2008, il magistrato o il dipendente della procura di Napoli che aveva passato le intercettazioni a D’Avanzo. A Milano, stesso tipo di indagine per l’intercettazione di Fassino pubblicata sul Giornale. In questo caso, però, fu indagato anche il proprietario del giornale, Paolo Berlusconi, il fratello del proprietario, Silvio, il direttore del quotidiano e il giornalista che aveva pubblicato il pezzo. I fratelli Berlusconi furono rinviati a giudizio, nonostante la procura avesse chiesto l’archiviazione per Silvio Berlusconi. Poi la condanna a un anno di carcere per il leader del Pdl. La legge è uguale per tutti?
MACCHINA DEL FANGO. 7 luglio 2008. Cinque anni fa. I giornali di De Benedetti si battono con furore contro l’ipotesi di una legge sulle intercettazioni (in seguito, definita “legge bavaglio”) promossa dal neo-governo di centrodestra. Da mesi, su Berlusconi, esce di tutto, dalle procure di tutta Italia, pubblicato con costanza su Repubblica e sull’Espresso. Tanto e tale è il materiale reperibile sulla rete che ogni tanto si incappa anche in una bufala. Come accade all’agenzia Adnkronos e a Roberto D’Agostino, titolare del sito Dagospia, che pubblicano una conversazione intercettata falsa, pescata su un sito con sede alle Antille (La Privata Repubblica). Un’intercettazione tra il presidente del Consiglio e l’amico Fedele Confalonieri nella quale si discute di sesso e di ministre. «È talmente andata avanti questa realtà di pornocrazia, tra sesso e politica, che non si riesce più a distinguere tra il vero e falso», commenterà scusandosi D’Agostino. Quell’intercettazione, falsa, ebbe tale fortuna che Beppe Grillo la pubblicò sul suo blog un anno dopo le scuse di D’Agostino, il 25 giugno 2009, ed è ancora reperibile in rete. Il blogger che combatte per l’informazione vera e trasparente, si limitò a cambiare i nomi dei protagonisti: Luigi XV, marchese Gontau e Madame de Pompadour. Macchina del fango? Macché. Satira.
FALSA MA VEROSIMILE. «È vero che, in un documento acustico, spiega a Fedele Confalonieri le ragioni postribolari dell’ingresso di qualche ministra nel governo?», si chiede D’Avanzo, su Repubblica, il 4 luglio 2008. Dal tono iniziale dell’articolo sembra che l’inviato speciale di Repubblica stia per cadere nella trappola della “burla”. Non è così. In realtà, confessa ai lettori del quotidiano, quella è una balla. Una menzogna, però, non dissimile al vero. Ciò che è falso a Napoli è vero a Milano, dove esistono file audio, scrive D’Avanzo, contenenti «un colloquio alquanto simile» a quello «dove “Silvio” e “Fedele” si intrattengono sulle virtù di una giovane signora planata dallo spettacolo nella politica». Conversazioni quasi identiche a quelle «malinconiche», nelle quali «il mago si protegge da ogni tentazione giovanile e pressing femminile». Purtroppo, spiega D’Avanzo, «la registrazione è stata mandata al macero, il 13 giugno, per decisione del giudice delle indagini preliminari Marina Zelante: la telefonata era irrilevante per il processo». Già, e Repubblica, informatissima, ne è a conoscenza e riesce a parlarne, in qualche modo. Niente processo, ovviamente.
CARFAGNA E BERLUSCONI. Luglio 2008. Altre intercettazioni. Molto piccanti, si dice. Tra il ministro delle Pari Opportunità, Mara Carfagna, e Berlusconi. Vengono da Napoli. Dalle stesse intercettazioni del “caso Saccà” che, grazie a un illecito, sono finite sui tavoli di Repubblica, alla fine del 2007. L‘Espresso dovrebbe pubblicarle la prima settimana di luglio, si mormora a Roma e nelle redazioni dei quotidiani nazionali. Ma alla fine non se ne fa nulla. Paolo Guzzanti racconterà che per fermarne la pubblicazione sia intervenuto addirittura il capo dello Stato. Tutti gli italiani, o quasi, però, sanno del loro contenuto. Dai banchi dell’opposizione, e naturalmente da Repubblica, si parla dell’”alto valore informativo” delle conversazioni, che perciò andrebbero pubblicate. Il tema? Non si tratta di banche, ma di sesso orale.
UNO SCOOP DALL’ARGENTINA. Ebbene, la notizia delle intercettazioni, coperte da segreto e irrilevanti, fece il giro del mondo (mica come il provincialissimo «abbiamo una banca» di Fassino). Arrivarono a un quotidiano argentino, il Clarin, che il 5 luglio parlò dei contenuti erotici, con dovizia di particolari. L’articolo fu ripreso anche da Sabina Guzzanti, che lo utilizzò per insultare Carfagna. L’11 luglio, Francesco Merlo, su Repubblica, chiese a Carfagna di fare chiarezza: «Sia irremovibile nel pretendere che sia pubblicato l’impubblicabile. Se ama se stessa, se ama l’Italia, se ama le Istituzioni delle quali ormai fa parte, il ministro Mara Carfagna non può più transigere: deve essere lei a battere i pugni in Consiglio dei ministri, in televisione, sui giornali, per chiedere la pubblicazione di quelle parti delle intercettazioni che la riguardano». Avrà dato lo stesso consiglio a Fassino? Certo che no.