Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Capisco benissimo perché Giuliano Ferrara auspica un plebiscito per il “Sì”. Più che il contenuto della riforma Boschi lo ingolosisce Matteo Renzi, decisionista e rottamatore, erede di Silvio Berlusconi e, secondo questa versione del fogliante supremo, Sergio Marchionne della politica italiana. È così. Nessuno più di noi comprende l’argomento del “giovin novatore”. La cui energia da folletto di nuova fiaba italiana sta facendo polpette di un branco di azzeccagarbugli della “Costituzione più bella del mondo”. Vogliamo essere comprensivi circa le buone intenzioni del nostro amico Elefantino e di tanti amici benintenzionati come lui: nessuno è triste perché Zagrebelsky, Gustavo, il torinese di Bisanzio, è stato fatto a pezzi in tv dal performante spaccone fiorentino. Ma se Ferrara ha ragione nel cogliere nella eventuale vittoria del “Sì” l’occasione per azzerare la retorica arrogante e sbilenca di coloro i quali – sia sul versante Pci-Pds-Ds (per non parlare di Sel, cascame minore del giustizialismo in salsa Arcigay), sia su quello dei plumbei torinesi – «hanno avuto per sé la palma del perbenismo e la cattedra della più ossequiosa rispettabilità» mentre in realtà furono «una generazione di cinici cattivi maestri e di bugiardi sconsiderati», ciò non toglie che, nel merito, il fondatore del Foglio abbia torto. E torto marcio. Il “No”, infatti, ha ragioni da vendere. E sono ragioni fortissime.
Al sottoscritto, per esempio, ne basta una. Ed è quella che ci fa mandare a quel paese la favola renziana ogni qualvolta ci imbattiamo nel manifesto principe con cui il Pd pensa di convincere l’elettore della Lombardia. «Vuoi ridurre i costi delle Regioni? Basta un Sì». Allora uno pensa: «Giusto, basta un “No” per non farsi abbindolare da una riforma che non soltanto non riduce alcun costo ma, anzi, penalizza le Regioni virtuose. E per grottesco paradosso, lascia intatte tutte le prerogative di spesa e sperpero pubblici delle Regioni a “statuto speciale”». Ora: 1) dato che ricerche recenti (Confcommercio 2015) ci hanno detto che adottando il modello lombardo, rispetto a una spesa complessiva di Regioni, Comuni e Province che ammonta a 176,4 miliardi, sarebbe possibile un risparmio teorico di 74,1 miliardi; 2) dato che un buon 32 per cento del suo saldo positivo tra entrate e spese (comprese quelle per il buono scuola, per la difesa della vita nascente, per il sostegno alle famiglie) la Lombardia lo devolve allo Stato; 3) dato che le Regioni del Nord versano ogni anno oltre 100 miliardi di euro in solidarietà al resto del paese (fonte: Cgia Mestre). Ecco, dato tutto questo e molto altro ancora, cosa fa Maria Elena Boschi per mettere a sistema gli esempi delle Regioni virtuose e rimettere in carreggiata le Regioni fallite? Ritorna al centralismo. Ridimensiona le autonomie locali. Introduce la “clausola di supremazia” con cui Roma – l’efficiente articolazione dello Stato che guida l’Italia da Roma – potrà intervenire in materie di competenza regionale (sanità, scuola, infrastrutture, lavoro…) in nome della “tutela dell’interesse nazionale”.
Geniale. E questo sarebbe “diminuire i costi delle Regioni”? Certo, basta un Sì per mantenere così la Sicilia, Regione a statuto speciale che già oggi spende per pagare i dipendenti pubblici dieci volte tanto quello che spende il Veneto, sei volte quello che spende la Campania e che su 15 mila impiegati (sono poco più di 3 mila in Lombardia) ne registra quasi la metà – 6 mila! – ufficialmente “inamovibili”. E perché gli impiegati di Regione Sicilia sono inamovibili? Perché 3 mila usufruiscono dei permessi della “legge 104” per disabilità o per assistere un familiare. Altri 3 mila godono di permessi sindacali o sono dirigenti sindacali. E tu, giovin novatore, mi proponi di dire Sì a una riforma che lascia intatto questo disastro? E tu, brillante contafavole, mi vieni pure a dare l’assalto da Roma alle Regioni che funzionano? Ma tu sei matto, caro il mio Matteo.
E se per battere questa assurdità mi devo alleare anche con i Gustavi, cosa vuoi che ti dica amico Giuliano, farò come faceva Montanelli: a naso turato mi terrò la compagnia necessaria per mettere mano alla Costituzione speriamo il prossimo anno, speriamo con il ritorno alle urne, speriamo con il proporzionale, speriamo con Stefano Parisi federatore dei moderati. E speriamo con l’elezione bipartisan di un’assemblea costituente che riformi, finalmente e veramente, la Costituzione più parruccona del mondo.
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