Cosa non capiscono le banche d’affari spaventate dalla destra italiana

Di Lorenzo Castellani
03 Giugno 2022
Burocrazie e mondo finanziario vorrebbero Draghi al governo anche dopo il 2023. Rifiutano rappresentanza e prassi elettorale, e come spesso succede, sopravvalutano i rischi e la politica italiana
Draghi Meloni destra italia
La leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, ospite di "Porta a Porta" lo scorso settembre. Alle sue spalle, un'immagine di Mario Draghi (foto Ansa)

C’è una domanda che aleggia da mesi nelle ovattate stanze del potere burocratico e finanziario: cosa c’è dopo Mario Draghi nella politica italiana? Allo stato attuale il centrodestra ha qualche probabilità in più di ottenere la maggioranza dei seggi, ma non esistono certezze. E dopo le prossime elezioni senza una maggioranza assoluta alla Camera e al Senato si possono rimescolare tutte le alleanze. A quel punto forse Draghi resterà un’opzione, ma dipenderà sia dalle volontà dell’attuale premier sia dalle alchimie politiche. I compromessi possono produrre i risultati più inaspettati, basti pensare alla vicenda di Giuseppe Conte. Chi è preoccupato da questa situazione?

Le banche d’affari temono la destra guidata da Meloni

Le grandi banche d’affari americane hanno già palesato le loro riserve, con particolare pena per una eventuale vittoria della destra sotto la leadership di Giorgia Meloni. Come al solito gli analisti finanziari che si dedicano all’analisi politica tagliano gli scenari con l’accetta, confondendo quasi sempre ciò che vorrebbero da ciò che è. La verità è che già oggi, con Draghi, la situazione economica internazionale e italiana volge al peggio. L’attuazione del Pnrr è in ritardo, lo spread è in risalita, l’inflazione cresce. Problemi atavici nazionali, come l’amministrazione pubblica e i rapporti tra livelli di governo, e dinamiche internazionali, come la guerra, la crescita dei prezzi delle materie prime, la logistica complessa, comprimono la crescita e il potere di acquisto.

A breve le banche centrali, e la Bce in particolare, che sono state supplenti della politica economica saranno costrette ad alzare i tassi per temperare l’inflazione. Il costo del debito crescerà, quello italiano soprattutto, e una recessione è possibile nei prossimi mesi. Insomma, con Draghi in sella e una grande coalizione ci sono difficoltà crescenti e potremmo arrivare al voto in piena crisi economica. A testimonianza che il successo economico di una nazione non dipende da un solo uomo, e ingenuo o in mala fede è chi lo crede.

La sopravvalutazione dei rischi

Perché le banche d’affari si affannano tanto? Lega e Forza Italia governano già con Draghi, le idee economiche di Giorgia Meloni sono moderate: non è mai stata no euro; non ha mai contrastato il Next Generation Eu; si accompagna a un gruppo europeo di falchi liberisti; ha persino mostrato un saldo atlantismo rispetto alla guerra in Ucraina. Non c’è da temere alcuna rivoluzione dal centrodestra, al massimo qualche forma di immobilismo corporativo e un po’ di tradizionalismo etico-sociale. Nulla che possa sovvertire l’ordine finanziario internazionale insomma.

La sopravvalutazione dei rischi politici è tuttavia una costante del mondo finanziario che tende spesso a prendere abbagli. Nel 2018, quando il Movimento 5 stelle e la Lega arrivarono primi alle elezioni e si allearono, un pezzo consistente della finanza credeva in un reale pericolo di uscita dall’euro. Un pericolo che non è mai esistito né è stato mai all’ordine del giorno. Alla fine nel 2020 e 2021 è stata l’affidabile Unione Europea a ribaltare il paradigma economico degli ultimi trent’anni, prima con la politica monetaria espansiva e poi proprio con il Recovery Plan. Politiche che fino a pochi anni prima gli analisti finanziari mainstream avrebbero bollato come populiste e pericolose.

Dunque, l’allarmismo delle banche d’affari è oramai una prassi conosciuta. Un continuo “al lupo, al lupo” che serve a ottenere garanzie sui piani economici dei governi, affinché siano il più conformi possibile ai desiderata delle merchant bank. Segnali di fumo che vengono poi rilanciati dai media o fatti propri dalle burocrazie per formare un “cordone sanitario” intorno alla politica democratica che spesso genera per paradosso ancora più instabilità e immobilismo, basti pensare a questa legislatura.

La destra italiana è davvero pericolosa?

Al fondo della questione c’è proprio la democrazia: un rifiuto oramai esplicito da parte di questi gruppi sociali della rappresentanza e della prassi elettorale. Si vorrebbero paesi governati soltanto da tecnocrati e burocrazie affidabili, per evitare conflitti, mediazioni, competizioni viste come incidenti di percorso causati dalla politica. Di conseguenza la perenne evocazione dell’emergenza, per cui un paese come l’Italia non può avere un premier o un ministro dell’Economia di marca politica. Con la politica, debole e molle, costretta a fornire continue garanzie al mondo finanziario.

Tutto questo avviene per la paura e l’eccesso di zelo di molti analisti, che sopravvalutano la politica italiana nella sua capacità di rottura e la reale sovranità dello stato italiano. Una sovranità che in campo finanziario ed economico non esiste e in campo politico è costantemente sotto la tutela del Quirinale. Perché dunque preoccuparsi tanto di una eventuale vittoria elettorale della placida, governista, europeista e moderata destra italiana? Dopo gli ultimi anni, non c’è leader che non sappia ciò che non si deve fare se si vuol provare a governare l’Italia.

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