Bambini lupo, scuole per gatti, genitori che non dicono ai figli «siete umani»
Un ragazzino si identifica in un lupo e la scuola dice: bello, abbiamo tra noi un “furry”, una “persona animale”, e anche le linee guida per proteggerlo. Accade in Scozia, mica in una diretta Instagram di Maddalena Corvaglia (ricordate il suo bizzarro ragionamento sul caso Imane Khelif ai Giochi Olimpici di Parigi? «Se una bambina si identifica in un Labrador e ha il diritto di esser trattata da labrador ha il diritto di andare al parchetto dei cani invece che a scuola?»: ci siamo, Madda!).
Secondo il Daily Mail (che per proteggere il minore ha deciso di non rivelare nome del ragazzo, né della scuola media in questione) gli insegnanti hanno accolto la nuova identità dello studente: soffre di “disforia di specie”, dicono, non ci sono linee guida ad hoc ma quelle diramate dal governo scozzese “Getting It Right For Every Child” (Girfec) consentono all’istituto di supportarlo seguendo lo schema della “ruota del benessere”, utilizzata per aiutare i bambini a “superare le disuguaglianze” e garantire che i loro diritti “siano tutelati in ogni momento”, “trattati con gentilezza, dignità e rispetto”. Chi non sarebbe d’accordo? Il punto è un altro.
Il bambino lupo con la “disforia di specie” (che non esiste)
Cos’è la disforia di specie? Nulla. Secondo il neuropsicologo Tommy MacKay sentito dal Mail «non esiste una condizione simile nella scienza». Tuttavia esistono degli adulti, di più, degli educatori, pronti a prendere alla lettera i desiderata di un bambino pur di non discriminarlo (e aiutarlo a fare «i conti con se stesso», altrimenti chiamato approccio di buon senso).
La scuola non vuole parlare, il presidente della Campaign for Real Education ed ex consigliere della Policy Unit di Downing Street 10 Christopher McGovern sì:
«Che ci crediate o no, quello che equivale a uno “status di protezione” è stato ora concesso a uno studente di una scuola secondaria scozzese che si identifica come lupo. Il termine tecnico per questo ultimo esempio di follia educativa è “disforia di specie”. Tra gli educatori di tutto il Regno Unito è di gran moda accogliere e scusare comportamenti cattivi mascherandoli con una terminologia pseudo-medica. Fa parte dell’industria del vittimismo woke, politicamente corretta, che attualmente definisce troppa istruzione. A prescindere dal crollo abissale degli standard educativi della Scozia secondo i test internazionali, ciò che conta è che chiunque si identifichi come lupo o altra creatura debba essere rispettato e protetto».
L’alunna gatto e lo studente cavallo
Il Corriere si scaglia contro il tabloid che ha «sparato» la notizia, il «tale» MacKay «di cui è difficile trovare traccia su internet» e mister McGovern, che fa parte di un «gruppo di pressione di destra», tenendo una lezione sui furries («non sono una patologia psichiatrica: sono persone che si travestono con costumi di animali antropomorfi») per ricordare che «il vero obiettivo polemico dell’articolo è la “disforia di genere”, quella condizione di profondo disagio e angoscia che fa sì che un bambino o un adolescente senta di avere un’identità diversa dal proprio sesso, e più in generale tutte le persone “gender fluid”».
Ah beh, la solita guerra al gender (evidentemente la portata dello scandalo Tavistock e della Cass Review in materia di gender, minori e scuole sfugge ai colleghi) e le care normalissime furpersone: giusto un anno fa uno stupido dibattito avvenuto in una classe del Rye College nell’East Sussex, con tanto di studentessa rimproverata dall’insegnante per le sue idee “confuse”, “omofobe” e “spregevoli” (credere che i sessi sono due e ritenere “una “follia” che una sua compagna si identificasse in un gatto) era tracimato dai social ai giornali fino a raccogliere le dichiarazioni di Rishi Sunak e Keir Starmer. E mentre il Guardian bollava il tutto come fake news dei conservatori, il Telegraph rintracciava in due scuole inglesi un alunno che si identifica come dinosauro e uno studente-cavallo.
In classe miagolando e facendo le fusa
E via così fino al ragazzo che in Galles ha scelto pronomi “catself” e risponde miagolando alle domande e a quello che si sente “moonself”, questo da quando nel Regno Unito sono stati sdoganati i pronomi di genere. Tracy Shaw, dell’organizzazione Safe Schools Alliance, spiega che tutto ciò dovrebbe far suonare forti campanelli d’allarme,
«il problema è che gli insegnanti hanno un punto cieco quando si tratta di questioni legate all’identità, perché hanno paura di fare la cosa sbagliata. Pensano di essere gentili affermando questi comportamenti, ma in realtà non lo sono, perché probabilmente stanno ignorando molte altre cose che stanno accadendo nella vita di quel bambino».
Nel Bedforshire “Kit”, soprannome rivendicato “it”, è una ragazza che a 16 anni indossa in classe coda, orecchie da gatto, miagola e all’intervallo fa le fusa strofinandosi sui compagni che le accarezzano la testa e le solleticano il mento («È assolutamente ridicolo come la scuola la assecondi e come tutti i ragazzi siano tenuti a rispettare la sua “identità” di gatto maschio, eppure quando chiedi aiuto agli insegnanti per qualcosa come la dislessia di un bambino ci vogliono mesi per arrivare a qualche soluzione», ha tuonato al Mail la mamma di un ragazzo che frequenta la stessa scuola).
I furry in piazza per rivendicare i loro diritti
Ancora i giornali progressisti hanno bollato tutto come una fake news diramata dai nemici del gender e dei pronomi di genere, difendendo le bizzarrie della comunità delle “furpersone”. Ma la comunità furry è tutt’altro che una Ponylandia per bambini e adolescenti liberi di indossare innocenti codine o graziose orecchie da gatto, e per insegnanti chiamati a “stare al gioco” e sorridere davanti ai loro guinzaglietti.
Secondo Sharon E. Roberts, co-fondatrice dell’International Anthropomorphic Research Projects «oltre il 70 percento dei furry si identifica come Lgbtq+ e oltre il 25 percento ha un’identità di genere diversa. Sono vittime di bullismo a tassi quasi doppi rispetto ai non furry e la nostra prossima ricerca indica che dal quattro al 15 per cento rientra nello spettro autistico». Non tutti i “furry” sono come li vorrebbe il Corriere, innocui «giovani che si travestono con costumi pelosi di animali ispirandosi a un fumetto di fantascienza degli anni 80»: erano più di mille a Potsamer Platz lo scorso anno a Berlino per rivendicare il loro “diritto civile” di identificarsi ed essere socialmente riconosciuti come cani, gatti eccetera abbaiando, ululando, miagolando e muovendosi a quattro zampe.
Il diritti dei theriani, la mamma che porta il figlio dal veterinario
Non si “identificano con” ma “in” un animale, mangiano dalla ciotola, dormono in una cuccia, riportano la palla, tecnicamente si chiamano theriani, non sono semplici fandom, appassionati (qui la storia di Toco, il giapponese che ha speso 15 mila dollari per diventare cane, ma c’è anche chi come Toro Ueda ne ha spesi 23 mila per un vestito da lupo che lo “libera dalle relazioni umane”), ma pretendono di essere riconosciuti come tali da una società che ha fatto della percezione di se stessi una identità da accogliere, accettare, difendere e rispettare. Una “disforia di specie” che proprio come quella di genere non compete più alla medicina ma alla società tutta.
Il fatto è che i problemi di salute mentale richiederebbero cure, non derisione, tanto meno accettazione, soprattutto quando si parla di bambini. E invece tocca leggere storie come quella Kass Theaz: «Mio figlio è un gatto ma il veterinario non l’ha voluto curare, l’ha discriminato». Secondo la donna se il bambino si sente un animale deve essere trattato e curato come tale.
La mamma che non sa se ricordare alla figlia che è “un’umana”
O quella, riportata dal Mirror, di un’altra mamma preoccupata che chiede agli utenti di Reddit: «Mia figlia, che ora ha nove anni, dice di identificarsi come una Therian. Ora ho vent’anni (l’ho avuta da piccola), quindi ovviamente ho cercato su Internet e mi sento molto a disagio con questo e non so come parlarle. Inizialmente continuavo a dirle che è una ragazza intelligente e bella, e non un animale. Ho detto che può amare gli animali e a volte desiderare di vestirsi come il suo preferito, ma non lo è. Era molto turbata/triste perché a scuola la chiamavano “strana” e “pelosa”, quindi sono sicuro di averla fatta sentire peggio. Alla fine mi sono scusata per aver ferito i suoi sentimenti e le ho detto che può essere tutto ciò che vuole finché è felice, e io ero una grande fan di Hello Kitty quando ero piccola, quindi capisco (…) Continuo a ricordarle che è una bella ragazza intelligente? Un’umana??».
Ecco dove hanno portato quasi un decennio di attivismo in aula, fratelli che diventano sorelle, drag queen che insegnano l’esistenza di 73 generi, maschi con il cromosoma y e le mestruazioni, varie ed eventuali linee guida «getting it right for children». A scuole che smentiscono continuamente il mito urbano di ospitare lettiere, ma guai ad attaccare il diritto di essere un gatto, e a genitori che si rivolgono ai social per sapere se devono ricordare ai propri figli che sono esseri umani.
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