Bambine siriane costrette a sposarsi per evitare stupri e rapimenti
Da quando è iniziata la guerra civile in Siria, 150 mila famiglie siriane sono guidate da donne. Molte di loro spingono le proprie figlie a sposarsi, ancora giovanissime, per evitare che siano stuprate o rapite. Ne ha parlato giovedì il Guardian, riportando le storie di alcune madri che oggi vivono nel campo profughi di Zaatari, in Giordania, sul confine con la Siria.
NEL CAMPO PROFUGHI. Rulla, una ragazzina di 13 anni, come altre sue coetanee siriane che vivono nel campo profughi di Zaatari è stata fatta sposare per evitare che fosse violentata. Nonostante il campo profughi sia «un paradiso in confronto con l’inferno di Daraa», afferma la madre di Rulla, non esiste alcuna sicurezza per le giovani donne. «Le tende sono molto vicine le une alle altre», spiega la madre di Rulla al Guardian. Quando le figlie devono andare in bagno, «sono costretta ad accompagnarle una ad una». C’è infatti chi le molesta e chi cerca di guardare nella tenda mentre le ragazzine fanno il bagno. Per questo «le madri danno le figlie in sposa senza chiedere doti – dice la donna- Vogliono solo un uomo per le loro figlie». Se le bambine fossero stuprate e il crimine fosse reso pubblico, infatti, i parenti potrebbero anche ucciderle. «La maggior parte dei matrimoni nel campo profughi riguardano ragazze di 12, 13 o 14 anni – prosegue la donna – Ma a volte, anche le bambine di dieci anni possono sposarsi se sono alte e sviluppate».
TUTTI VOGLIONO SPOSI PER LE FIGLIE. La madre di un’altra moglie-ragazzina, Dima, racconta al Guardian che a Daraa «tre giovani ragazze del nostro quartiere sono scomparse mentre camminavano verso un altro villaggio». Da quando c’è la guerra, «le attività quotidiane più semplici, come i viaggi in autobus sono diventate un tormento. Se su un autobus un uomo vuole una ragazza, può costringerla ad andare con lui». Per questo in Siria «tutti vogliono dare in sposa le proprie figlie; altrimenti dovrebbero rinchiuderle in casa». «Dima aveva 15 anni, andava ancora a scuola, era brava, ma ero preoccupata che potesse essere rapita o violentata dai soldati sulla strada per la scuola», racconta la madre. «La migliore sicurezza sarebbe stata avere un marito». «Era molto meglio per lei sposarsi, anche se era ancora una bambina, che essere violentata da un soldato», spiega. Dima, però, non si è abituata al matrimonio con un uomo sconosciuto e il marito l’ha ripudiata dopo pochi mesi. Insieme alla madre, ora vive nel campo profughi di Zaatari, in Giordania. Dopo il divorzio, la ragazzina ha rifiutato di tornare a studiare e di incontrare persone per la vergogna di essere stata ripudiata.
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2 commenti
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Tutto ciò è frutto dei retaggi di una cultura generalizzata che risale dalla notte dei tempi, per la quale la condizione della donna rispetto a quella dell’uomo è di sottomissione in quanto sarebbe solo l’uomo l’unica fonte di saggezza e potere, mentre la donna molto più umorale e dedita all’accoglienza non avrebbe le doti necessarie per far valere la propria indipendenza. Di questa sub cultura nessuna società o religione può dirsene esente originariamente.
Come a dire – Filomena – che è la loro cultura e quindi va bene così, nevvero? Lei che è donna di mondo lo sa, noialtri che ci scandalizziamo siamo cafoni, terroni, retrogradi e magari pure machisti.
L’indignazione e il senonoraquando, evidentemente, sono da riservare a benaltro…
Ma mi faccia il piacere!