Balocco: «L’articolo 18 va superato. Certi sindacati non possono continuare a tenere la testa sotto la sabbia»

Di Matteo Rigamonti
18 Settembre 2014
«È un sistema bacato che va cambiato. Subito, non tra qualche anno». Intervista ad Alberto Balocco: «Serve un'epocale riduzione del costo del lavoro per i giovani neo assunti»

Entra nel vivo il dibattito parlamentare sul Jobs Act di Renzi e puntualmente torna a tener banco l’articolo 18. Abolirlo oppure no? È l’eterno dilemma che il governo sembra intenzionato a scogliere, sindacati permettendo, congelando l’articolo 18 nei primi tre anni di lavoro, con l’adozione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, ossia quello per cui il reintegro in caso di licenziamento illegittimo è sostituito con un adeguato indennizzo di natura economica. Non certo la migliore soluzione possibile secondo l’imprenditore Alberto Balocco, che a tempi.it confida che avrebbe preferito un «superamento» dell’articolo 18, ma soprattutto un’«epocale riduzione del costo del lavoro per i giovani neo assunti». Perché, secondo il celebre produttore di panettoni e altre specialità natalizie e pasquali, è solo con un mercato del lavoro più flessibile e conveniente che l’Italia «può tornare ad attrarre investitori e rilanciare i consumi».

L’articolo 18 va superato?
Beh, direi… non fosse altro che per il fatto che l’articolo 18 ha appena compiuto 44 anni; ha quasi la mia età, non so se mi spiego. Oltretutto, lo Statuto dei lavoratori, la legge numero 300 del 1970, è stato concepito in un contesto sociale che ormai non esiste più. E il mondo è cambiato più velocemente in questi ultimi quarant’anni che non nei duemila precedenti. Noi, però, ci permettiamo il lusso di stare qui a farne un dibattito quasi “filosofico”, come se niente fosse, quando, in realtà, chi ha le leve per decidere dovrebbe intervenire, e in fretta. Il tempo in cui non si cambiava niente per il timore di scontentare qualcuno dovrebbe essere finito da un pezzo.

Altrimenti?
Altrimenti si corre il rischio di finire tutti molto male. La difficoltà insita nell’attuale congiuntura economica negativa è sotto gli occhi di tutti; e non si può pensare che un mercato del lavoro chiuso in uscita, come è il nostro, possa favorire da sé i flussi in entrata. Come se non bastasse, poi, oltre all’articolo 18, c’è anche l’ultima riforma delle pensioni, che ha di fatto posticipato l’età di uscita per molti dipendenti verso i 70 anni. Il risultato sa qual è? Che il ricambio generazionale sul posto di lavoro non avviene più prima dei 40 anni. È un sistema bacato che così non può funzionare. Senza contare che lo Statuto dei lavoratori, quando a chiudere sono le aziende, non difende più nessuno, nemmeno chi ha un contratto a tempo indeterminato, men che meno in un contesto di disoccupazione galoppante e di recessione.

Crede che il contratto di lavoro a tutele crescenti possa essere la soluzione?
Mi sembra piuttosto la prova provata che anche questo governo, come tutti quelli che l’hanno preceduto, stia correndo il rischio di dimostrarsi incapace di cambiare sul serio le cose, come invece aveva promesso. Dal mio punto di vista, sarebbe molto meglio optare per una riduzione epocale del costo del lavoro per i giovani neo assunti, magari per un’adeguata finestra temporale. Perché in un momento di emergenza, come è l’attuale, servono manovre d’emergenza e scelte coraggiose.

I sindacati, però, non cedono sull’articolo 18.
Se alcuni sindacati non sono disposti a cambiare le loro idee, continuino pure a tenere la testa sotto la sabbia. L’articolo 1 della costituzione dice che l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Sottolineo: “sul lavoro”, non “sui lavoratori”. È lo Statuto “del lavoro” che va riscritto. Ed è il lavoro che dobbiamo difendere oggi, se veramente vogliamo bene ai nostri figli. Nei paesi di cultura anglosassone il mercato del lavoro è molto più permeabile, sia in entrata sia in uscita, con il risultato che le opportunità per il singolo lavoratore sono molte di più che in Italia. Oltretutto, è così facendo che il Paese può tornare ad attrarre investitori e rilanciare i consumi.

Il bonus da 80 euro non basta?
Senz’altro è stata una buona cosa; temo, però, sia solo un piccolo inizio. Dati alla mano, infatti, il bonus Renzi sembra non aver cambiato troppo l’andamento dei consumi. Mentre è sul potere d’acquisto è sull’occupazione che si deve schiacciare l’acceleratore; in Italia, purtroppo, le uniche persone che sono rimaste sicure di percepire reddito e poterlo spendere, di fatto, sono i pensionati e i dipendenti pubblici. Oltre ai troppi politici strapagati che faticano a lavorare tre giorni alla settimana, perché il lunedì e il venerdì sono già considerati week-end. Ma senza decisioni ed interventi epocali su occupazione ed efficienza dell’apparato pubblico, il sistema non reggerà più a lungo. Non possiamo permettercelo. Così come non possiamo permetterci una disoccupazione giovanile al 43 per cento. Se non cambiano subito le cose, in qualche mese, non in qualche anno, le prospettive non potranno che peggiorare.

@rigaz1

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2 commenti

  1. Cisco

    Purtroppo temo che neanche il governo Renzusconi riuscirà a cambiare le cose. Spero di sbagliarmi. Comunque la question più grave è giustamente la tassazione del lavoro, più che l’articolo 18, di fatto già in parte superato dalla riforma dei contratti a termine.

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