L’avventura di padre Zimbaldi, di anni 88, in missione fra le tribù animiste in Thailandia

Di Piero Gheddo
14 Luglio 2017
La vita di padre Gianni fra i Lahu e gli Akhà, prima in Birmania e poi in Thailandia, è paragonabile a quelle degli Apostoli, raccontate dagli Atti

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Lo slogan più fortunato di papa Francesco è “La Chiesa in uscita”: noi battezzati, tutti gli enti ecclesiali, diocesi, parrocchie, congregazioni religiose, associazioni laicali, non dobbiamo rinchiuderci nell’ovile di Cristo, ma proiettarci verso l’esterno, come si legge nel primo capitolo della Evangelii Gaudium: «Voglio una Chiesa tutta missionaria».

Ebbene, mercoledì 6 luglio è venuto a trovarmi un mio coscritto, che potrei definire “un prete in uscita”, cioè un missionario del Pime che è sempre andato fra le popolazioni più lontane e abbandonate, per testimoniare e annunziare Gesù Cristo. Oggi, a 88 anni suonati, dopo cinque anni che non tornava in Italia, si è preso una breve vacanza perché un benefattore gli ha pagato il viaggio aereo. Il 12 luglio è tornato in Thailandia. Non va Bangkok, dove potrebbe starsene tranquillo, ma sulle montagne e regioni forestali al Nord del paese, dove vivono tribali di religione animista. In un ambiente difficile, anche per i profughi che scappano dal Myanmar, proprio quelli che Gianni già conosce (ne parla le lingue), tra i quali svolge il suo ministero, con altri confratelli.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Testimone vivente di come nasce la Chiesa
Siamo diventati sacerdoti assieme nel 1953, poi lui è partito per gli Stati Uniti per imparare l’inglese e nel 1958 è in Birmania, nella prefettura apostolica di Kengtung, resa mitica dagli scritti del beato padre Clemente Vismara. Arriva a Kengtung nella Pasqua del 1958, che festeggia col prefetto apostolico monsignor Ferdinando Guercilena. Un mese dopo, un maestro cattolico, che capiva un po’ l’inglese, lo porta in quattro giorni a cavallo nella missione di Mong Pok, fra i tribali Lahu e Akhà, ai confini con la Cina. A Mong Pok c’era padre Grazioso Banfi, in Birmania dal 1938.

L’avventura di padre Gianni fra i Lahu e gli Akhà, prima in Birmania (1958-1966) e poi in Thailandia (dal 1972) è paragonabile a quelle degli Apostoli, raccontate dagli Atti. Allora la Chiesa nasceva in Palestina e nell’Impero romano. Oggi nasce in parecchi paesi dell’Asia fra i gruppi tribali: Gesù Cristo e lo Spirito Santo sono con i missionari, come alle origini con gli Apostoli. Ecco perché vi racconto in breve la vita padre Gianni Zimbaldi, testimone vivente di come nasce la Chiesa, duemila anni dopo Gesù.

Mong Pok era un villaggio fuori dal mondo, senza strade, senza comodità moderne, senza negozi o mercati oltre a quello di villaggio dove si scambiano i prodotti della terra e dell’artigianato. Padre Banfi abitava una casetta in muratura a due piani, costruita 25 anni prima e ormai fatiscente, ma ancora l’unica in muratura in quella vasta regione dei tribali Lahu ed Akhà. Nella missione c’erano due catechiste-suore, una congregazione fondata da monsignor Bonetta, Vivevano in una capanna di fango e paglia e facevano la cucina in cortile sotto una tettoia. La chiesa era di fango e bambù. «Il mio primo impegno era di studiare la lingua lahu con un maestro cinese che sapeva qualcosa di inglese. Non c’era nessun libro, solo un quadernetto con l’alfabeto e qualche decina di parole, alcuni opuscoli con le preghiere in lahu e un libro con i quattro Vangeli ridotti in uno solo, composto padre Portaluppi in shan, poi tradotto in lahu e akhà».

«Io parlavo col catechista e con la gente, imparando a memoria e scrivendomi le parole che imparavo. Sono andato a Mongpok nel maggio 1958 e poi a novembre monsignor Guercilena mi dice: “Adesso tu sai un po’ di lahu e puoi stare da solo. A marzo (1959) tornerà dall’Italia padre Banfi e verrà a Mongpok”. In quei mesi in cui ero da solo, cercavo di imparare la lingua e poi andavo a visitare i villaggi. Il primo Natale ho messo fuori dei cartelli con “Buon Natale” in lahu; avevo un fonografo a manovella e suonavo qualche inno e canti in italiano per fare un po’ di festa. Ricordo che in quel primo Natale una bambina mi disse: “Padre, voglio ricevere il Battesimo”. Era una pagana che aveva visto la nostra festa e voleva diventare cattolica. Me l’ha detto e ripetuto e mi ha commosso».

«Mong Pok era a quattro giorni di cavallo da Kengtung, dove si andava in carovana al massimo due volte l’anno per pochi giorni, per fare le provviste. Quando poi è tornato padre Banfi, mi sono accorto che il lahu lo parlava male. I padri anziani conoscevano bene lo shan, lingua veicolare nella regione di Kengtung, ma la lingua del popolo non l’avevano mai studiata, Un vecchio catechista mi diceva: “Quando c’era tra noi il padre Portaluppi, non si capiva niente di quel che diceva nelle prediche. Lui diceva che parlava il lahu, ma noi non capivamo se parlava il birmano o lo shan o il lahu”».

In quel momento, dice padre Zimbaldi, «ho pensato: è proprio vero che la missione la fa lo Spirito Santo, noi missionari siamo strumenti talmente imperfetti che parliamo e non capiscono nemmeno se parliamo la loro lingua!». E aggiunge: «I miei otto anni di Birmania sono stati affascinanti, nonostante la povertà, l’isolamento, i pericoli dei guerriglieri e dei commercianti di oppio, i briganti e le belve feroci, che giravano attorno alla carovana spaventando i cavalli, o attorno al bivacco notturno quando si dormiva all’aperto, per terra su una coperta. La semplicità e la cordialità di quel popolo mi sono rimaste dentro, come pure la loro gioia e fede quando il Signore dava loro la grazia di convertirsi».

Nel 1972 in Thailandia per i profughi lahu e akhà dalla Birmania
Questa la vita di padre Gianni sulle montagne e nelle foreste della Birmania orientale fino al 1966, quando i militari hanno instaurato la dittatura comunista che più o meno dura tuttora ed espulso tutti i missionari più giovani. Dopo alcuni anni trascorsi in Italia e negli Stati Uniti, nel 1972 è con due confratelli in Thailandia, per fondare la missione del Pime. I tre pionieri si stabiliscono a Chiang Mai, al Nord del paese. Dopo un anno di studio della lingua thailandese, il vescovo manda padre Zimbaldi a Fang (150 chilometri a nord di Chiang Mai) per curare i lahu e gli akhà che fuggivano dalla Birmania. Per padre Gianni è come tornare all’antica missione di Mong Pok.

Incomincia con la visita ai villaggi per incontrare i cattolici presenti e parlando bene il lahu è accolto ovunque con manifestazioni di gioia. Scopre 65 battezzati e 20 catecumeni. A Fang abitava nella casa della missione abbandonata da 15 anni. Incomincia subito ad accogliere otto ragazzi e sette ragazze lahu che provengono dai monti e frequentano la scuola governativa. Per le ragazze affitta una casetta dove mette una vedova cattolica con due sue figlie (un figlio è nel seminario minore a Kengtung in Birmania), che cura le ragazze e fa cucina e lavanderia per tutti. La Provvidenza lo aiuta e in quindici anni la missione di Fang dispone di un vasto terreno sul quale oggi sorgono una grande chiesa e le altre opere della parrocchia. A quel tempo Fang era già chiamata “città”, ma aveva solo 2.000-3.000 abitanti, però era il centro civile e commerciale di una vasta regione con circa 100.000 abitanti in maggioranza tribali. Oggi Fang ha circa 10.000 abitanti.

«Nei primi anni che ero a Fang – mi dice – visitavo sistematicamente il territorio della mia missione, che era già stata iniziata vent’anni prima da un missionario francese e poi abbandonata per mancanza di personale. Parlando bene il lahu, mi presentavo alla gente e ai capi villaggio come il missionario che veniva a riaprire la missione di Fang ed ero accolto bene ovunque. Vedevo dove si poteva aprire una scuola, distribuivo medicine, visitavo le famiglie per conoscere i loro problemi e soprattutto prendevo contatto con le famiglie cattoliche venute dalla Birmania e alcune già battezzate».

In residenza a Fang, padre Gianni traduce in lahu il catechismo e altri testi religiosi indispensabili, i prefazi, le preghiere eucaristiche e i canti sacri. In seguito manderà un maestro della missione a scuola di dattilografia a Chiang Mai, per imparare a scrivere in lahu e comporre testi e foglietti da distribuire ai cristiani. Dopo meno di un anno che è arrivato a Fang informa i benefattori del primo risultato di questo lavoro: «Sono qui a Bangkok per far stampare in off-set il libro di preghiere e canti in lahu. È la prima opera del genere che faccio e mi è costata parecchio tempo e preoccupazioni. È un libro necessario e mando un po’ di libri alla missione di Kengtung».

Con l’aiuto della Divina Provvidenza e di altri confratelli, padre Zimbaldi ha fondato la Chiesa a Fang, poi compiuti i 75 anni e date le dimissioni da parroco, è andato per tre anni ad aiutare i confratelli nella missione di Mae Suay, una nuova parrocchia staccatasi da Fang alcuni anni prima. Nel novembre 2009 è tornato a Fang come sacerdote residente, continuando ad assistere pastoralmente le comunità che aveva visto nascere. Oggi il parroco di Fang è il milanese padre Marco Ribolini (anni 43), coadiuvato da padre Massimo Bolgan e appunto da padre Gianni.

In una lettera del 4 gennaio 2016, mi scriveva:

«Io sono qui per aiutarli, la mia salute grazie a Dio è buona e riesco ancora a visitare i villaggi. Quando ho iniziato il ministero missionario fra i tribali animisti, la diocesi di Chiang Mai aveva meno di 20.000 cristiani battezzati. Ora sono più di 70.000 e ci sono 20.000 catecumeni che vivono nei villaggi cattolici e si preparano al battesimo. Allora c’era solo un sacerdote diocesano, ora i sacerdoti diocesani sono una trentina. Il vescovo di Chiang Mai non solo è contento di noi, ma ci chiede di occuparci di altre zone. La diocesi di Chiang Mai comprende otto grandi province con una popolazione di 5.685.000. I cattolici sono 71.694, i sacerdoti diocesani solo 30, in un territorio forestale e montagnoso, vasto come Lombardia e Piemonte. Il vescovo accetta le congregazioni religiose, i preti religiosi sono 67 (una trentina thailandesi). Il nostro distretto missionario di Fang sta preparando la nuova parrocchia a Ban Theut Thai, che si stacca dal nostro territorio. Stiamo costruendo le strutture necessarie, pregando il Signore per i benefattori che ci aiutano. Grazie al Signore Gesù, abbiamo la consolazione di vedere la comunità cattolica crescere ogni anno. L’anno scorso, nella diocesi di Chiang Mai si sono amministrati più di mille battesimi di adulti, quasi tutti tribali animisti».

Nel raccontare l’inizio della sua missione in Thailandia, padre Zimbaldi si commuove e dice: «Noi avrei mai immaginato che in quell’ambiente e quel popolo molto povero sarebbe nata una bella e viva Chiesa con i suoi primi preti e suore locali, capaci di diffondere la fede fra i loro tribali. Perché non raccontare in Italia, anche sui mass media,  questi esempi, per dare speranza e far comprendere l’importanza del Vangelo e della “missione alle genti?”».

A 88 anni incomincia una vita nuova a Chiang Rai
Quando è venuto a trovarmi il 6 luglio scorso, padre Gianni mi dice che il Superiore generale del Pime, padre Ferruccio Brambillasca (già missionario in Giappone), con i suoi quattro consiglieri ha deciso che il Pime in Thailandia venda la casa regionale e il suo terreno a Bangkok, e con quelle risorse costruisca una nuova casa regionale alla periferia di Chiang Rai, capoluogo di una provincia che è proprio alla frontiera col Myanmar. Così si potranno accogliere e seguire meglio i cristiani tribali che vengono dalla regione di Chiang Rai e dal Myanmar e aiutare la vicina diocesi di Kengtung, evangelizzata dal nostro Istituto. Si è scelto Chiang Rai per ragioni strategiche: la cittadina che ha un volo diretto con Bangkok e dovrebbe, in un prossimo futuro, essere sede di una nuova diocesi (staccandola da quella di Chiang Mai). Il Pime ne prepara le strutture. Si è già acquistato il terreno e si inizierà presto a costruire.

Il primo missionario che andrà con altri confratelli ad aprire questa casa sarà padre Gianni Zimbaldi, che è stato missionario a Kengtung e parla bene le lingue dei profughi e dei thailandesi. Questa la tradizione del Pime, istituto di sacerdoti non religiosi (cioè senza i voti), ma comunità apostolica di clero secolare, fondata nel 1850 dal venerabile monsignor Angelo Ramazzotti (vescovo di Pavia e patriarca di Venezia) e dai vescovi lombardi, per annunziare Cristo ai popoli più lontani e abbandonati e fondare la Chiesa locale con clero locale. Nel territorio della futura diocesi di Chiang Rai già lavora dal 1991 anche il Met, l’Istituto Missionario Thailandese voluto negli anni Ottanta dalla Conferenza episcopale thailandese. Il carismatico padre Adriano Pelosin, Pime, assiste oggi come superiore i membri di questo Istituto, sacerdoti diocesani e religiose di alcune congregazioni locali, nel difficile cammino della missione. Essi lavorano attualmente oltre che in Thailandia anche in Cambogia e Laos.

In due lunghe interviste (agosto 2009) ho chiesto a padre Gianni come i suoi cristiani sentono e vivono il cristianesimo.

Risponde:

«Quando sono pagani, vivono con la paura degli spiriti e ci credono. Quando c’è un malato fanno le cerimonie contro gli spiriti cattivi che portano disgrazie, malattie, mancanza di pioggia, malocchio, eccetera. Hanno una grande paura e sono sempre tormentati. Quando vedono i cristiani che vivono bene senza fare nulla contro gli spiriti cattivi, allora chiedono di farsi cristiani. Se si fanno cristiani c’è sempre un motivo concreto, per vivere meglio, per non avere più paura.
Una volta c’era il capo villaggio che decideva per tutti di farsi cristiani, adesso sono le singole famiglie, la scelta è più personale e più familiare. Quando chiedono, io vado a vedere la situazione e la loro retta intenzione. Poi mando un catechista a insegnare e vivere in mezzo a loro. Dopo almeno tre anni che hanno chiesto di farsi cristiani, quelli che mostrano fedeltà alle pratiche religiose, sono capaci di perdonare, hanno un inizio di vita cristiana, allora li battezzo. Altrimenti rimando. Per un adulto, il battesimo è una conquista, che ottiene con la preghiera, l’osservanza dei Dieci Comandamenti, eccetera. Per farsi cristiani ci vuole una grazia del Signore. Il catecumeno capisce poco della fede cristiana, ma segue il catechista nelle pratiche di pietà e nella vita: quando c’è un malato il catechista va a pregare da lui e con lui, quando capita qualcosa nella famiglia chiedono che il catechista vada a spiegare qual è il costume cristiano, eccetera».

Io dico spesso che fra i giovani cristiani c’è l’entusiasmo per la fede. Nei tuoi cristiani c’è questo entusiasmo o no?

«All’inizio, un vero entusiasmo non lo vedo. Però quelli che sono cattolici da un po’ di tempo e hanno ricevuto un buon insegnamento dal catechista, migliorano nella loro vita, diventano sempre più cristiani. Anche quelli che non sono mai stati a scuola recepiscono il mio insegnamento con gioia e a volte anche con commozione, perché spesso è il contrario dei costumi pagani. Nelle loro conversazioni ripetono quel che ho detto, citano fatti o parabole di Gesù. Però certe credenze tradizionali rimangono dentro. Una volta, in un villaggio cattolico di buona gente, si sono ammalate diverse persone e non si capiva che male fosse. Allora hanno discusso: “Qui ci sono degli spiriti che ci vogliono male” e benché fossero cattolici da più di una generazione, sono andati da uno stregone shan a chiedere il suo intervento. L’anno prima era morto il capo villaggio che era andato in foresta a cacciare e non si sa chi l’aveva ferito in modo grave. È riuscito a tornare nel villaggio ma poi è morto. Lo stregone shan ha fatto i suoi sortilegi e ha detto: “È lo spirito di quell’uomo che è qui tra voi e vuole vendicarsi del suo villaggio. Scavate nella sua tomba e vedremo”. Hanno trovato il corpo del morto, con la testa rivolta verso il villaggio. Lo stregone dice: “Vedete? Questa l’origine del vostro male. Scappate dal villaggio altrimenti altri moriranno”. In pochi giorni sono scappati tutti, più di venti famiglie, lasciando case, campi e tombe dei loro morti… Per fortuna sono andati in un altro villaggio cattolico, hanno ricominciato a vivere e sono ancora oggi buoni cattolici».

Cosa hai fatto per combattere la produzione della droga?

«I migliori tra gli alunni degli ostelli li mando a Bangkok e a Chiang Mai per continuare gli studi a spese della missione: ne escono meccanici, falegnami, elettricisti, agronomi, infermiere, insegnanti, sarte, eccetera. Ci sono già due sacerdoti e diverse suore lahu e akhà: si sta formando la classe dirigente moderna fra i tribali. La parte principale della lotta contro la droga la fa il governo, che è severissimo con chi produce e commercia oppio. Ma la repressione non basta, occorre offrire ai tribali educazione e aiuto per altre attività redditizie, ad esempio le “banche del riso”, “le banche dei bufali” e le cooperative di villaggio per aiutare i tribali a rimanere sul posto, invece di andare nelle baraccopoli di Bangkok. E padre Sandro Bordignon (ucciso il 1° giugno 2004 in uno scontro frontale con un auto di militari ubriachi!) ha creato, più a sud nella pianura thailandese, due fattorie-scuola agricole che insegnano ai tribali le tecniche moderne di coltivazione e l’allevamento animali».

«Ma – dice padre Gianni – l’aiuto principale lo diamo annunziando Gesù Cristo. L’influsso del Vangelo è misterioso, è opera dello Spirito Santo. Però la differenza tra un villaggio cristiano e uno pagano è evidente a tutti: i matrimoni sono più saldi, i bambini e le bambine vengono a scuola, villaggio e capanne sono puliti, c’è più impegno nel lavoro, l’abitudine nuova al risparmio, collaborazione anche economica per il bene pubblico (ad esempio per costruire la cappella e la sala comunitaria, mantenere le strade praticabili), la legge del perdono fa diminuire e quasi scomparire lotte e vendette tra famiglie. Il villaggio pagano ha criteri solo materiali di giudizio: se una famiglia povera manda le figlie a prostituirsi non fa problema, non stupisce nessuno. I cattolici non lo fanno».

Tratto dal blog di padre Piero Gheddo

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