Avere almeno un’eco della speranza che avevate voi, disfatti, di ritorno dal Don

Di Marina Corradi
14 Marzo 2021
Poteste voi, che ormai siete tutti in cielo, mandarcene un po’, a noi smarriti in questo anno 2021, di quella voglia di ricominciare, e di vivere
La ritirata di Russia

Tratto dalla Gazzetta di Parma del 12 marzo 2021 – Alla partenza dall’Italia per il fronte russo la divisione Julia contava 16 mila uomini, 4.000 muli, armi, tende, vettovagliamenti. Per caricare tutto c’erano voluti 55 treni. Il 1° marzo ’43, dopo la Ritirata, i resti della Julia dislocati a Gomel, Bielorussia, erano 3.200 uomini laceri, feriti, febbricitanti. Hai scritto tu ne La Ritirata di Russia:

«Per caricare tutta la Julia a Gomel bastarono solo tre treni merci. Il mio treno valicò il Brennero la notte sul 19 marzo ’43, giorno di san Giuseppe. (…) Eravamo pelle e ossa. Avevamo i visi affilati, gli sguardi spenti, le teste vuote, gli abiti a brandelli e bruciacchiati. Al di qua del Brennero era già caldo e verde, soffiava un dolce tiepido vento. Venuto il giorno ci affacciammo ai finestrini. Il treno scendeva la valle dell’Adige, l’Italia ci apparve come uno straordinario meraviglioso giardino».

Come vorrei potere vederla, papà, quell’alba di primavera nella valle dell’Adige. Il verde chiaro dell’erba appena spuntata, le nuvole dei peschi e dei meli in fiore. E l’Adige color smeraldo, quieto, regale. Che terra meravigliosa, che terra benedetta da Dio deve esservi apparsa l’Italia ritrovata, quel mattino, nella luce del primo sole.

Eravate feriti, sfiniti, disfatti da ciò che avevate visto e patito sul Don, è vero. Però da quel che scrivi mi pare, papà, che ci fosse sul vostro treno un’invisibile compagna: una speranza indicibile in quegli uomini stremati ma vivi, che tornavano a casa.

Una speranza vigorosa come la sorgente di un fiume generoso. Tutta la morte e il dolore attraversato avevano generato silenziosamente questa fonte carsica in voi: adesso, pensavate, la vita sarebbe ricominciata. Avreste rivisto i genitori, i fratelli, e la donna di cui eravate innamorati. Finita la maledetta guerra ci sarebbe stato da lavorare, tanto, per ricostruire, e da sposarsi, e da fare dei bambini.

Ai vostri stessi occhi forse eravate dei poveri uomini, degli sconfitti, sul merci che sferragliando lentamente vi riportava in patria. C’era in voi però, muta, tanta di quella speranza, che il treno faticava a contenerla.

Ecco: avere noi, oggi, soltanto un poco di quella speranza. Non la stessa, certo, noi non siamo reduci dal Don. Ma almeno l’eco di quella voglia di ricominciare, e di vivere. Poteste voi, che ormai siete tutti in cielo, mandarcene un po’, a noi smarriti in questo anno 2021, di quella vostra speranza dell’alba di San Giuseppe 1943: quando, sorgendo il sole, l’Italia vi apparve come uno «straordinario meraviglioso giardino».

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