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Il 20 settembre in poche ore, grazie al dispiegamento di una forza mille volte superiore, con attrezzi bellici nuovi fiammanti e il ghigno antico dei tagliagole, l’esercito dell’Azerbaigian si è preso tutto l’Artsakh (il nome autentico di quello che internazionalmente è chiamato Nagorno-Karabakh, o Alto Nagorno). La nostra resa è stata ovvia, ineluttabile, trentamila bambini sarebbero stati annientati dai bruti. Vecchi e donne sono andati a raspare le tombe, a raccogliere le ossa dei loro cari, devotamente hanno avvolto i resti in fasce come neonati, dovevano andarsene con queste reliquie, e se ne sono andati, se ne andranno, ne resterà un pugno.
Ora si tratta di bloccare il genocidio. Di costringere la spaventosa macchina tritacarne di armeni a fare un giro di ruota all’indietro. Prima che si diriga e occupi la provincia sud-orientale della Repubblica d’Armenia, la provincia di Syunik (Zangezur), divorando terra, unghie, capelli, denti, ...
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