Grazie all’ariosa distribuzione nelle sale e all’allestimento sobrio, l’assemblea dei trenta dipinti raffiguranti la storia di Giuditta che decapita Oloferne, adunati attorno al prototipo di Caravaggio, attenua l’effetto truce che il tema biblico di norma produce. È uno dei meriti di questa interessante mostra, curata da Maria Cristina Terzaghi, cui si deve, tra l’altro, la scoperta e la segnalazione pubblica dell’ultimo quadro di sicura paternità caravaggesca, l’Ecce homo di Madrid.
La Giuditta si impone allo guardo del visitatore, una grande tela che il Merisi dipinse, in un periodo compreso tra il 1599 e il 1601, per il banchiere Ottavio Costa, committente di altre due opere caravaggesche, un San Giovannino e un San Francesco in estasi. La Giuditta seguì un percorso collezionistico puntualmente registrato nei suoi passaggi sino all’ultimo, la collezione romana degli avi del notaio Vincenzo Coppi che la ereditò. Venne acquisita dallo Stato italiano nel 1971, al costo di 250...
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