L’Arabia Saudita è stanca di essere denigrata e associata ad organizzazioni criminali e terroristiche. Per questo ha annunciato a mezzo stampa che chiunque la paragonerà allo Stato islamico sarà portato davanti a un giudice e processato.
«DEGNA DELL’ISIS». Una fonte del ministero della Giustizia, intervistata dal quotidiano governativo Al Riyadh, ha dichiarato: «Il Ministero farà causa alla persona che ha descritto su Twitter la condanna a morte di un uomo per apostasia come “degna dell’Isis”», riporta Reuters. Non è chiaro a chi appartenga l’account Twitter incriminato, mentre è noto il caso che fa da sfondo alle accuse.
PENA CAPITALE. Ashraf Fayadh è un poeta condannato a 800 frustate e quattro anni di prigione per blasfemia, diffusione dell’ateismo e relazione illecita con una donna. Il 17 novembre scorso il suo processo è stato rivisto e la condanna è stata commutata in pena capitale. Fayadh, dunque, verrà decapitato come già 151 persone prima di lui quest’anno. Per la monarchia saudita si tratta di un record che si avvicina a quello del 1995, quando vennero decapitate 192 persone.
LEGGE ISLAMICA. Sempre secondo la fonte citata dal quotidiano saudita, «mettere in dubbio la correttezza delle corti significa mettere in dubbio il sistema giudiziario stesso del Regno che si basa sulla legge islamica (sharia), la quale garantisce i diritti e assicura la dignità umana». Per questo, «chiunque diffami il sistema giudiziario religioso del Regno sarà processato».
I PROCESSI. Il paragone tra Arabia Saudita e Isis viene naturale dal momento che entrambi comminano le stesse punizioni per gli stessi delitti: decapitazioni, crocifissioni, frustate, amputazione di arti. La fonte da cui vengono tratte, del resto, è la stessa: la sharia. La differenza, secondo i sauditi, sta nel processo attraverso il quale vengono condannate le persone: lo Stato islamico non ha un sistema giudiziario imparziale, il Regno sì.
SENTENZE DISUMANE. Che i processi nel paese sunnita, dove vige una rigidissima versione dell’islam, il wahabismo, siano imparziali è poco credibile. Sempre il 17 novembre nel paese è stato condannato alla decapitazione e crocifissione Ali Mohammed Al-Nimr, arrestato nel 2012 all’età di 17 anni per aver partecipato a una protesta illegale. La madre ha commentato così il verdetto: «Nessuno accetterebbe una sentenza così crudele. È disumano, è disgustoso».
«ISIS CHE CE L’HA FATTA». Se poi ai monarchi sauditi dà così fastidio il paragone con il terrorismo islamico, farebbero meglio a smettere di finanziarlo in Siria per abbattere il regime nemico sciita di Bashar al-Assad. Per quanto riguarda la promozione della «dignità umana» e la garanzia di diritti, il paese non è certo sulla buona strada. Fino a quando non cambierà qualcosa, la definizione più azzeccata dell’Arabia Saudita resta quella dello scrittore algerino Kamel Daoud: «Un Isis che ce l’ha fatta».
Foto bandiera Arabia Saudita: Ansa