L’antimaccartismo impostore di Trump
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) –La prova che Trump è un impostore ce la dà lui stesso quando accusa Obama di “mccarthyism”, maccartismo, e quando parla di caccia alle streghe e di «blacklist nello stile di McCarthy». Trump si riferisce alle attività di intelligence dell’ex presidente americano intorno alla lobby spionistico-diplomatica russa a Washington, nella cui rete sono stati attratti qualche mese fa, a proprio esclusivo vantaggio, uomini chiave dell’entourage dell’arancione. Spiare i russi e controspiare le loro attività spionistiche è funzione nazionale dell’intelligence, mentre denunciare queste attività come maccartismo prova che l’impostore in chief è il contrario di un uomo politicamente scorretto, come vuol dare a vedere se e quando gli conviene, e che la sostanza della sua povera ideologia narcisista è la menzogna.
Joseph McCarthy è per varie generazioni educate alla political correctness, in America e in tutto il mondo, un calunniatore seriale, un uomo che ha pregiudicato i criteri di diritto e libertà della democrazia americana, un mostro inquisitorio senza basi e senza prove che alla fine fu censurato dal Senato americano, di cui era membro, ed escluso dalla società o dal club dei frequentabili mediante l’azione di un impeccabile establishment sia democratico-liberal sia repubblicano-liberal, compreso il presidente dell’epoca ed eroe di guerra Dwight D. Eisenhower. «Have you no sense of decency, Sir, at long last?», è la frase storica con la quale il consulente dell’esercito americano Joseph Welch liquidò, nel corso di un’audizione senatoriale, il Grande Calunniatore McCarthy, e significa: «Ma alla fine non le è rimasto un qualche senso dell’onestà e della decenza, Senatore?». Da quando furono pronunciate quelle dieci parole, il mondo si convinse che Joe McCarthy aveva torto sulla rete spionistica sovietico-comunista nei gangli vitali degli Stati Uniti, e i suoi oppositori in nome dei diritti avevano ragione.
I fatti e il loro significato
Era vero il contrario, malgrado errori, imprecisioni e esagerazioni del senatore McCarthy, un temperamentale figlio del Midwest (veniva dal Wisconsin, uno dei tre stati che hanno dato la vittoria all’impostore per una manciata di voti ottenuti con l’aiuto dell’Fbi e del Kgb, i forgotten voters più rilevanti dei forgotten men di sociologica memoria), era vero l’opposto. Joe aveva ragione, la rete c’era, era immensa, ebbe effetti sconcertanti nella guerra fredda, consentì ai sovietici spericolate operazioni di propaganda e di “lotta antimperialista”, minò le basi della difesa americana del mondo libero, come si capisce dalla lettura dei Venona Papers.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Per 37 anni il controspionaggio americano, con il Venona Project, cercò di decrittare i messaggi codificati delle agenzie spionistiche sovietiche, e alla fine ci riuscì, dando ragione postuma a McCarthy, nonostante obiezioni deboli come quella di Victor Navasky, commentatore dell’estrema sinistra, che parlò di «scambi di informazioni tra gente di buona volontà». Gli storici attendibili e una commissione presieduta da un uomo universalmente riconosciuto come un repubblicano liberal e un talento a prova di faziosità della democrazia americana, il senatore Daniel P. Moynihan, stabilirono che i beniamini dell’accademia americana e della stampa pol. corr. avevano torto loro. Gli ultimi dati furono resi noti nel 1995, con esito esiziale per la storia dell’AntiMcCarthyism, ma quella verità fu confinata alla pubblicistica scorretta dei conservatori, i liberal dovettero ammettere la realtà ma con i toni con cui si definisce una questione insidiosa per insabbiarla definitivamente.
Nel 1954 William F. Buckley e L. Brent Bozell, fondatori della National Review e cioè della cultura conservatrice americana che culminò tanti anni dopo nell’effetto Ronald Reagan, pubblicarono da Regnery press un libro eccezionale, che fu subito dannato dai benpensanti. Il titolo era McCarthy e i suoi nemici, il sottotitolo “I fatti e il loro significato”. Tutto era già detto, ben prima delle rivelazioni dei Venona Papers. Era un’indagine e un pamphlet moralista di quelli che escono uno al secolo, dedicato allo scandalo del secolo, appunto il maccartismo e l’antimaccartismo.
Angeli e diavoli
Ma tutte le verità si perdono nella nebbia dell’era fake. Nel 1957 Joe morì alcolizzato, solo, abbandonato e in sospetto allora sessualmente corretto di sodomia dopo i suoi strepitosi e crudeli successi, che avevano impressionato e stimolato, poi stregato e infine spaventato l’America innocente della guerra fredda, teleguidata da classi dirigenti incuranti del lato moralmente e politicamente intrattabile, cioè scorretto, delle battaglie di verità.
Anni dopo, Roy Cohn, un grande avvocato gay velato di New York che ne ha fatte di tutti i colori, un grandissimo personaggio controverso che, ironia della storia, è stato il braccio destro di McCarthy e alle origini il consigliere speciale del pescecane Donald Trump, fu protagonista di un grande spettacolo Broadway & Tv di Tony Kushner, Angels in America, dedicato all’apologia poetica dell’Aids come metafora della sofferenza e dell’integrità dei giusti. Ancora una volta fu bollato come omosessuale turpe, lui non era un Angel sofferente ma un diavolo in persona, e come malato terminale e criminale che non aveva il coraggio di rivelare la sua sieropositività. La vittoria postuma dei calunniatori pol. corr. era quasi completa: a consolidarla oggi è l’accusa di maccartismo rivolta a Obama dall’impostore fattosi presidente, per difendere i suoi che annaspano nella rete di Putin, e che come riccone dell’arte del deal si era fatto strada con i consigli e le trame di Roy Cohn.
Foto Ansa
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