
Amore omne cosa clama
Con il cuore squarciato come il pavimento della sala da ballo che l’ha inghiottita, un brillante notaio di Todi si dispera piangendo la giovane moglie. La leggenda narra di un crollo improvviso, che durante la festa travolge gli invitati: tra essi l’unica vittima è proprio lei, la sua donna, Vanna dei conti di Coldimezzo. È il 1268. Avvisato dell’accaduto, Iacopo Benedetti, erede di una nobile famiglia tuderte, rampante come può esserlo un trentenne in carriera, accorre sul luogo dell’incidente e resta sconvolto. Scioccato, scopre che la moglie indossa, sotto le lussuose vesti, un panno ruvido, il cilicio. Scopre che lo usava a insaputa di tutti per mortificare la carne, ma non può più chiederle perché. Lei se ne è andata per sempre e lui sospira e piange, vorrebbe ritrovarla, morire abbracciato a lei, inabissarsi nel suo amore.
È in questo frangente che matura il suo rinnovamento spirituale; nel vuoto di un grande amore che è finito, si fa strada l’amore infinito di Dio. La conversione gli ispira le più belle ballate popolari in dialetto umbro del Duecento (ne scriverà 93) e una vita da bizzocco, cioè da penitente laico. Davanti ai concittadini esterrefatti, tra i quali i documenti ricordano un giovane canonico, Benedetto Caetani (che nel 1294 diventa papa Bonifacio VIII), Iacopo si presenta come un novello san Francesco: si dimette dal consiglio municipale, abbandona la professione legale, rinuncia ai beni e si aggira nudo per le strade con addosso un basto d’asino e tra i denti un morso, a sottolineare la nuova condizione di umile e reietto. Per il resto della sua lunga vita vestirà il saio grigio dei primi francescani e pagherà con cinque anni di galera la sua fedeltà alla corrente degli “spirituali” (i radicali della povertà) sempre in lotta con i “conventuali” (i francescani ricchi e corrotti) protetti dal Papa in persona: un “Lucifero novello a ssedere en papato, lengua de blasfemìa, ch’el mondo ài ‘nvenenato.”, scrive nella lauda “O Papa Bonifazio, molt’ài iocato al mondo”. A settecento anni dalla morte, Iacopone da Todi (1230-1306) viene celebrato nella sua città natale con un’importante mostra aperta fino al 2 maggio nei Palazzi Comunali dove ha sede il Museo Pinacoteca (www.iacoponetodi.it). La sua esperienza umana e spirituale è illustrata da una cinquantina di opere d’arte fra codici miniati, dipinti, sculture e oreficerie d’arte sacra, che documentano l’immaginario figurativo nell’Umbria del frate-poeta.
Le laude come gli affreschi
La sezione iconografica, a cura di Fabio Bisogni e di Alessandra Gianni dell’Università di Siena, pone subito degli interrogativi: Iacopone conosceva l’arte figurativa del suo tempo? Frequentava il grande cantiere della Basilica di Assisi? Pregava davanti alla Crocifissione di Giunta Pisano alla Porziuncola e di Cimabue ad Assisi? Si commuoveva guardando la Madonna col bambino scolpita da Giovanni Pisano a Perugia? Le domande non sono oziose se si considera che, nel Duecento, la diffusione di affreschi, miniature, dipinti e sculture di soggetto religioso è capillare, mentre le arti visive assumono il valore di predicazione figurata, come le laude sono catechesi in forma cantata. Nell’Umbria del XIII secolo, permeata dalla spiritualità di san Francesco, pittura e poesia usano le stesse tonalità rosso sangue nel descrivere l’agonia di Cristo Uomo-Dio, che muore in croce mendicando l’amore della sua creatura; intonano gli stessi accenti esasperati nel dare forma al dolore della Madre, che spera contro ogni speranza sorreggendo il corpo esanime del Figlio; poesia e pittura trovano nel “poverello d’Assisi” un santo contemporaneo da imitare, umanamente più vicino di profeti, patriarchi e dottori della Chiesa.
Ma le coincidenze tra la grande pittura medievale e il poeta di Todi sono episodi isolati – scrivono i curatori (catalogo Skira) – e il debito, quando ci fosse, sarebbe soltanto a senso unico, da Iacopone a Cimabue. Rifiutando le lusinghe del mondo a lui contemporaneo, Iacopone sembra voler fuggire la suggestione esteriore dell’arte visiva, teme una fede sentimentale e detesta le celebrazioni tutta apparenza e poca sostanza. Iacopone è un integralista astratto, vuole annullarsi in Dio morendo al mondo, ma intorno a lui, sempre radicale nelle sue prese di posizione, si accende più forte che altrove la coscienza del dramma dell’esistenza, provocata da un rapporto carnale autentico con Cristo.
È in questa chiave che va forse interpretato un fatto tragico e misterioso, accaduto il giorno prima dell’inaugurazione, fissata per il 2 dicembre 2006: muore Fabio Bisogni, il prof. con cui Alessandra Gianni si era laureata più di venti anni fa, con il quale collaborava da anni e aveva preparato la mostra. «È accaduto il giorno prima dell’inaugurazione», dice la Gianni a Tempi. «Si trovava a Todi già da lunedì per assistere all’arrivo delle opere e al montaggio della mostra; era contento del risultato di mesi di lavoro. È stato rinvenuto giovedì mattina morto nella camera d’albergo per un infarto, era cardiopatico, 71 anni. Era un feroce anticlericale e specialmente negli ultimi anni il suo odio andava aumentando, raccoglieva tutte le nefandezze commesse dalla Chiesa per scrivere un volume Contra ecclesiam. Ci siamo azzuffati spesso, e spesso mi lasciava senza parole poiché era dotato di straordinarie intelligenza e dialettica, aveva una cultura sterminata. Ma ultimamente, durante uno dei nostri viaggi umbri alla ricerca di opere da esporre, mentre di nuovo si accalorava sui sacerdoti peccatori (credo proprio che abbia avuto orribili esperienze da bambino che lo hanno segnato per sempre), gli ho parlato della meschinità di Pietro e degli apostoli, e della scelta fatta comunque da Gesù di fondare la chiesa su un traditore, e della veridicità dei vangeli, la Resurrezione e gli episodi bellissimi dopo la Resurrezione (l’arrosto di pesce sulle rive del lago di Tiberiade, la cena di Emmaus). Per la prima volta Fabio taceva ed ha mormorato: “È evidente che quello che raccontano i vangeli è tutto vero”. La vicinanza con il Bisogni era una spina nel fianco, talvolta ho provato rabbia per non riuscire apparentemente a toccare il cuore di quell’uomo, per la cattiveria e il disprezzo con cui insultava papi e santi, ma mi costringeva a rendere ragione della mia fede. Alla fine gli davo ragione su tutto, i peccati della Chiesa, le nefandezze che ci sono state – e che non mancava di enumerare e documentare – pur di salvare ai suoi occhi almeno Gesù. Il fatto incredibile e misterioso è che l’unico suo punto debole era san Francesco, di fronte a lui smorzava i suoi toni. È morto in Umbria, la terra di san Francesco, lavorando su Iacopone, francescano spirituale».
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