La tutela dell’ambiente in Costituzione e il nichilismo della nostra èra
Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, l’ha definita una «giornata epocale»; Michela Brambilla, presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali, un momento «storico». In effetti, le modiche degli articoli 9 e 41 della Costituzione approvate l’8 febbraio non possono definirsi diversamente, anche se le motivazioni sono complesse.
L’interesse delle future generazioni
Nel dettaglio, l’articolo 9 ora affianca alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico, già garantita dalla Carta costituzionale, quella dell’«ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni»; l’articolo 41 – dedicato all’iniziativa economica privata – prevede che questa da oggi non debba recare danno anche «alla salute e all’ambiente» oltre che «alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana», come previsto finora. La riforma è stata approvata a larga maggioranza con 468 voti favorevoli, sei astenuti e un contrario; oltre due terzi del Parlamento, pertanto non richiede il referendum confermativo ed entra automaticamente in vigore.
Le notizie buone sono due. Anzitutto per l’ambiente, che vede rafforzata la sua tutela con benefici effetti per tutti. Poi per la rimozione dal testo dell’espressa estensione delle tutele agli animali, che nella precedente proposta di modifica, di cui ho scritto qui, venivano definiti “esseri senzienti” e oggi sono inclusi nell’ampio concetto di biodiversità. «I modi e le forme di tutela degli animali», chiarisce la legge, restano disciplinati dalla legge dello Stato.
L’ambiente come totem da venerare
Ben nascoste dietro alle buone intenzioni che hanno indotto i parlamentari a votare in maniera plebiscitaria si nascondono più di qualche insidia e una visione viziata da un furore ideologico che ricade nell’ecologismo piuttosto che nell’ambientalismo sano, quello cui è giusto educare i propri figli e ispirarsi.
L’ecologismo è un approccio fondamentalista viziato da un’irresponsabile miopia politica, che eleva l’ambiente a totem da venerare. Giulio Meotti, nel suo ultimo saggio, perfettamente centrato, l’ha definito «il dio verde». Una nuova divinità il cui culto prevede una religione che ha soppiantato quelle tradizionali, indebolite – anche se non per tutte viene utilizzato lo stesso conformismo dissacratore – e delegittimate da continui attacchi. Il nuovo dio riduce l’uomo a mera comparsa e i suoi adepti professano il proprio amore nei confronti di un’umanità astratta non meglio definita. Si tratta dell’«ultima religione occidentale», come ha scritto il filosofo tedesco Peter Sloterdijk, un progetto totalitario che in difesa del suo idolo immanente non esita a nuocere all’uomo. E ricorda altri progetti totalitari, la cui fine gli auguriamo.
L’ossessione per l’ambiente
Questa ossessione per l’ambiente costituisce il concretizzarsi di un processo sostitutivo dove la protezione del nuovo indifeso – l’ambiente o la biodiversità, quindi anche l’animale – dimentica la centralità dell’essere umano, unico a potergli dare un valore. In un colpo solo si deificano natura e animali (roba da pagani) per reificare l’uomo, ridotto a uno dei tanti abitanti del pianeta. In un solo passaggio si cancellano millenni di storia del pensiero, della filosofia e della religione. Si rifiuta l’unicità dell’uomo nella Creazione per seguire lo spirito dei tempi; di questi tempi in cui si preferisce fare volontariato in un canile, si spendono fortune per i propri “pelosi”, si sfila il venerdì per difendere “madre terra”. In un trionfo di nichilismo e ignoranza certificato dalla neolingua utilizzata per esprimere la moderna sensibilità ecologica.
Il voto del Parlamento rappresenta un capolavoro, consumato dagli attivisti green nel silenzio delle stanze del Palazzo. Uno strappo silenzioso ammantato di apparenti buone intenzioni, un piccolo golpe consumato a scapito di una visione veramente ambientalista, dell’iniziativa privata, della nostra generazione e dei nostri figli, sempre più ridotti a semplici comparse. Brindiamo allora a quell’unico voto contrario che, magari inconsapevolmente, più probabilmente con altre intenzioni, ha mantenuto vivo il dubbio che questa sia la strada per lo sfruttamento responsabile dell’ambiente e la sua conservazione.
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