Lettere dalla fine del mondo

Altro che eutanasia. Io ho visto davvero che cosa vuol dire morire con dignità

clinica-divina-providencia-asuncion-padre-aldo-trento

[cham_inread]

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Caro padre Aldo, il “caso” del piccolo Charlie Gard ci ha riempiti di un senso di impotenza davanti alla titanica forza del male. Non possiamo accettare che la morte vinca la battaglia con la vita, che l’uomo con il suo luciferino orgoglio si arroghi il diritto di decidere della vita di un altro. È accaduto con l’aborto, con l’eutanasia e ora con Charlie. Che cosa possiamo fare noi, che siamo un piccolo gruppo impegnato nel Movimento per la vita in parrocchia? Abbiamo letto che lei ha risposto a questa sfida con un ospedale dove si accolgono ammalati terminali poveri accompagnandoli a morire in modo veramente umano, coniugando la scienza medica e la “cariñoterapia”. Una risposta a quanti amano la morte più della vita. [Lettera firmata]

«Mors et vita duello conflixere mirando: Dux vitæ mortuus, regnat vivus». Così cantiamo ogni anno nel giorno della Pasqua del Signore: «La morte e la vita si sono battute in un sorprendente duello. Il Signore della vita, morto, regna vivo». Credo che queste parole dicano in modo eloquente la ragione della clinica per malati terminali intitolata al servo di Dio don Giussani.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Tutto è iniziato il primo di maggio del 2004, quando ho incontrato una giovane mamma con quattro figli in un tugurio dove viveva prostrata per terra, a causa di una rara malattia neurologica. La aiutavano i vicini e la bambina più piccola, gli altri tre le erano stati tolti dal giudice dei minori. Il suo nome era Laura. Decisi di portarla in parrocchia. In quel primo anno morirono 57 malati. Tutti avevano vissuto soli, abbandonati, emarginati; ma tutti morirono come re, portandosi dietro una storia meravigliosa di santità, perché tutti morirono nella pace del Signore. Santo infatti non è colui che ha vinto le novantanove battaglie della vita; santo è chi, magari avendole perse tutte, vince l’ultima, quella contro il male. Questa battaglia si vince quando la libertà umana, riconciliata con Dio, si consegna totalmente alla Sua volontà. Il santo è il peccatore che accetta la morte e il dolore come una carezza del Padre che, non volendo perdere nessuno dei suoi figli, usa ogni mezzo perché si risveglino, riconoscano il Suo infinito amore e confessino la propria miseria chiedendo perdono.

Per tutti questi amici che ci hanno lasciato, il cancro o l’Aids non sono stati una disgrazia, bensì l’alba di un giorno pieno di sole. Sono morti col sorriso della Misericordia sulle labbra, quasi a garantirci che erano già nel grembo di Dio.

La certezza di incontare il quid
Per noi che viviamo nella Clinica la morte non è una “brutta sorellastra”, ma una sorella bella. Il giorno della morte è il momento nel quale affidiamo il nostro amico o la nostra amica al Signore della vita; è un giorno di festa perché è il trionfo della vita. Il dolore ci accompagna perché siamo umani, ma la certezza gioiosa che Cristo è risorto e vive è la certezza con la quale chiudiamo gli occhi degli amici che se ne vanno. Per questo li salutiamo sempre con i sacramenti e la benedizione e, una volta che l’anima ha abbandonato il fragile corpo (pulito e sistemato come quello di una sposa o di uno sposo pronti per le nozze), celebriamo per loro la santa Messa nella cappella della Clinica. Qui si muore con dignità, si muore bene, ricevendo tutti i doni che la Chiesa stessa regala: la presenza amorosa di medici, infermieri, volontari, sacerdoti. Ma soprattutto i sacramenti: «Padre, la mia vita è stata un’immondizia, ma qui sono nell’anticamera del Paradiso».

Un tempo la morte mi spaventava, e ancora oggi mi è difficile accettarla, ora però la vedo come il doloroso ma non tragico commiato da tutto ciò che ho di più caro, nella certezza di incontrare il quid: l’unica cosa che il mio cuore, da quando ha l’uso della ragione, ha sempre cercato e desiderato. Arriverà anche per me quell’ora, e mi auguro di ricevere anch’io la grazia ricevuta da questi fratelli che, accompagnati da me e dagli amici della Casa Divina Provvidenza Don Luigi Giussani, salutano la vita col sorriso di Dio sulle labbra.

Per tutti noi che viviamo questa esperienza, è stato commovente vedere come i nostri fratelli moribondi si siano congedati dalla vita, in un mondo che non sopportando la vita censura la morte con la dimenticanza, o ponendo fine alla vita stessa con orgoglio e satanica decisione. L’eutanasia non è morire con dignità, ma nella prometeica e disperata situazione di chi, non riconoscendo Dio come unico autore della vita, pretende di essere, come Lucifero, quel che nessun uomo potrà mai essere: il giudice ultimo della propria esistenza. La dignità della morte coincide con l’ultimo sì da parte della libertà umana. «Sono qui, Signore, per fare la Tua volontà». In questa consegna a Lui sta tutta la dignità di chi vive e di chi muore.

Dal 1º maggio 2004 abbiamo accolto 1.957 malati, dei quali 1.490 li abbiamo accompagnati a morire.

[email protected]

[cham_piede]

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.