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Alfie Evans e la distruzione dell'umano

«Credevamo che nessun medico potesse togliere la vita a un bambino solo perché non è possibile guarirlo». È stata fatta a pezzi la logica, la medicina e il diritto

Giuliana Ruggieri
26/04/2018 - 9:54
Società
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Caro direttore, ha scritto Giuliano Guzzo a proposito del caso Alfie che «non era mai successo che un innocente, il diritto, la medicina e la logica fossero eliminati tutti insieme», ed è vero. È stata compromessa l’integrità della medicina, perché i suoi scopi sono guarire qualche volta, curare spesso, prendersi cura del malato sempre. Nel contesto delle cure palliative si usa l’espressione “trattamenti futili” e ci si riferisce al concetto di “futilità”. Ma la futilità dei trattamenti è sempre riferita alle terapie in atto, non certo alla vita umana. La medicina attraverso l’esame obiettivo, le indagini strumentali e avvalendosi della competenza e collaborazione della comunità scientifica (i congressi scientifici servono a questo) mira a trattare, combattere e possibilmente eliminare la malattia: non il malato! Gli ospedali sono nati per difendere la vita, non per erogare la morte.
Credevamo che nessun medico potesse togliere la vita a un bambino solo perché non è possibile guarirlo. Soprattutto in presenza di una malattia che, come nel caso di Alfie, non è stata ancora diagnosticata. Accelerare il suo decesso significa anche rinunciare ad arrivare alla diagnosi, e con ciò ci si assumono gravi responsabilità con riferimento a possibili future gravidanze della coppia. E tutto questo avviene mentre colleghi di ospedali europei di alto livello assicurano che è possibile fare approfondimenti e curare fino alla fine il piccolo senza accanimento terapeutico. E mentre lo stesso giudice a ritenere assai «improbabile» che Alfie soffra. A differenza del caso di Charlie Gard, qui non si possono chiamare in causa la sofferenza o l’accanimento terapeutico; a far decidere di interrompere le cure è la semplice convinzione della futilità della vita di Alfie nelle attuali condizioni.
È stato compromesso il diritto, nel momento in cui i giudici, anziché difendere il diritto alla vita di un essere umano, si sono arrogati il potere di negare a lui la possibilità di sopravvivere e ai suoi genitori la capacità di decidere in merito, stabilendo che essi sono responsabili del “benessere” dei figli, non della loro vita come tale. E il benessere del figlio, il suo “best interest”, coincide con la morte.
È stata fatta a pezzi la logica, perché si è affermato che è pericoloso trasportare un bambino per il rischio di convulsioni e nello stesso tempo che doveva essere staccato definitivamente il respiratore, con conseguente soffocamento e morte. Perché è stata esclusa a priori la categoria della possibilità, che è alla base di ogni scoperta scientifica e di tutti i progressi della medicina. Ed è stata fatta a pezzi anche l’umanità, quando il padre è costretto a fare la respirazione bocca a bocca al bambino che non è deceduto dopo la sospensione della ventilazione, a ricorrere a ogni astuzia per nutrirlo e idratarlo. Ha ragione Matilde Leonardi, neurologa e pediatra dell’Istituto Carlo Besta, che dice: «Alfie è il primo caso di accanimento non terapeutico della storia della medicina». Si può aggiungere che è un caso di accanimento ideologico sulla pelle di un innocente e della sua famiglia.
Quello che sta accadendo costringe tutti a porsi ancora una volte le grandi domande, quelle sul senso della vita, accompagnate dallo sbigottimento per le conseguenze a cui porta il mancato riconoscimento della sacralità della vita, Viene infatti da chiedersi: «Come è possibile, nell’era dei diritti e delle infinite possibilità, che una morte al prezzo della vita sia più accettabile e sostenibile della vita stessa?». Sotto a questa sta la domanda delle domande: «La nostra vita è eterna, oppure finisce nel nulla?». La risposta del credente suona così: «Questo uomo-Dio – Gesù di Nazareth morto e risorto e presente nella Chiesa, Suo Corpo misterioso – definisce l’istante come inizio di una storia da cui sì genera il volto eterno della persona umana e della compagnia umana. L’Eterno abbraccia e trascina con sé ogni virgola della nostra vita presente». (Luigi Giussani, Giubileo del 2000). È nel rapporto con l’Eterno che si genera il valore della singola persona. Non riconoscere questo rappresenta una resa dell’umano. Se invece lo si riconosce, allora la medicina diventa “arte”, ha a che fare con con il valore eterno e sacro di ogni essere umano, ha a che fare con la santità, di cui noi medici abbiamo segni splendenti a noi vicini e cari come san Riccardo Pampuri e san Giuseppe Moscati.
Se eliminiamo il Trascendente, l’Eterno, se eliminiamo l’Infinitamente grande che tutto sottende, se eliminiamo la libertà come dipendenza, non possiamo che arrivare alle stesse conclusioni di Friedrich Nietzsche, che sono poi quelle che stanno dietro alla posizione dello stato etico inglese così come si è manifestato nelle recenti sentenze sul caso Alfie: «L’individuo è stato ritenuto dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare. Ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani. La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie – è dura, è piena di autosuperamento, perché ha bisogno del sacrificio dell’uomo. E questo pseudoumanesimo che si chiama cristianesimo si vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato».
«Vivere come se Dio fosse» (Joseph Ratzinger, discorso a Subiaco 1 aprile 2005) è l’unica scommessa che ci conviene fare per non assistere a tragedie di distruzione dell’umano, come quella del piccolo Alfie. Questo è ciò che insegna a tutti l’umanità crocifissa di quel bimbo.
Giuliana Ruggieri
(chirurgo e docente dell’Università di Siena)

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