Egregio direttore, mi permetta di ringraziarla per il prezioso commento a caldo sulla vicenda Formigoni. Mi è parso giusto e sincero.
Leggendolo, ho subito pensato, non senza un sussulto, che io a tutti gli effetti posso essere considerato un ex formigoniano, (come notava Barbacetto qualche tempo fa) perché oggi il mio impegno civico si esprime con generosità e passione all’interno del Partito democratico.
Vorrei usare questa occasione per collocarmi però sinceramente tra quelli che non sono “ex” e quindi rispondere al suo delicato ma stimolante appello a non nascondersi.
Non sono “ex” e mi spiego: tra le ragioni per cui a un certo punto del mio percorso ho sentito più adeguata la proposta del Partito democratico, c’è sicuramente una delusione per come il centrodestra stava “gestendo” il cosiddetto “modello lombardo”.
Quando mi sono iscritto al Pd, ne ho sposato le battaglie, ne ho condiviso le campagne elettorali anche qui in Lombardia, schierandomi con forza con Giorgio Gori e contro Attilio Fontana, mi capitava che amici, anche nella sua redazione, mi chiedessero se non mi sentissi uno che rinnegava l’esperienza di buon governo proprio della Lombardia di Formigoni. Rispondevo no allora e rispondo no anche adesso, che è più “scomodo” visto che si tratta di un modello “condannato”.
Io credo infatti che con coraggio, onestà e libertà sia il momento giusto per dire una terza cosa che nel suo editoriale mi pare manchi che è questa: il cosiddetto “modello Formigoni” è innanzitutto un modello di ingegneria della funzione pubblica innovativo ed efficace come pochi altri nella storia di Italia. La cifra politica e culturale di Roberto Formigoni, di Nicola Maria Sanese, e di tutti quelli che a quella stagione hanno contribuito, è stata quella di fare sì che si potesse avverare l’ipotesi che lo Stato fosse a servizio dei cittadini. L’esperienza di rapporto con Regione Lombardia (ovvero un pezzo dello Stato) di tutti, ma proprio tutti i cittadini lombardi era una esperienza positiva. Questa cifra culturale e politica aveva un nome preciso e si chiamava sussidiarietà. Io c’ero in quegli anni e c’ero soprattutto nel momento in cui la Lega si spostava sempre più verso un’orientamento sovranista e si allontanava pericolosamente dal sostegno alla causa della sussidiarietà. La quale con sfumature diverse, con prudenze tattiche e distinguo fastidiosi, stava quasi per paradosso più nel programma di Gori che di Fontana. Persino l’attuale negoziato sul tema delle Autonomie ha alfieri più vicini a quella sensibilità nel centrosinistra che nel centrodestra. (che la Lega di Salvini abbia completamente abdicato sui costi standard e stia per accettare i costi storici sono sicuro che fa arrabbiare anche lei).
Detto questo veniamo al punto. La condanna di Formigoni è una condanna storica. Mi unisco totalmente e sottoscrivo la sua giusta preoccupazione per la “parte” umana della vicenda, comprendo con un po’ di paura le sue giuste e ben spiegate preoccupazioni per la “parte” giudiziaria. Le chiedo di riflettere anche su una terza “parte” ovvero la parte politica, la quale ha una dignità pari se non addirittura superiore a quella giudiziaria e umana. O, meglio, penso che l’invito a “tener conto di tutti i fattori” sia accettato per intero solo se poniamo con la stessa serietà l’accento anche sulla questione politica.
La persona al centro delle politiche pubbliche, la collaborazione tra pubblico e privato nella esecuzione e gestione dei servizi pubblici, l’elevata e continua ricerca di altissimi standard dei servizi offerti ai cittadini e alle imprese dei territori governati, la capacità di riconoscere, incentivare e rispettare la libera intrapresa anche del terzo settore, l’ossessione palpabile per la lotta agli sprechi pubblici, all’efficienza della macchina burocratica, al dialogo mai formale né subalterno con i corpi intermedi e i portatori di interesse, sono solo alcuni dei tanti esempi che oggi, e forse soprattutto oggi, dovrebbero portare tutti dalla parte di quella cifra politica e di quella cultura politica.
La condanna di Formigoni non deve e non può obliterare questo. Non deve e non può obliterare il buon senso. Il buon senso dice che quel pezzo di storia lì ha ancora tanto da raccontare. Nel mio piccolo farò il possibile per aiutare i miei amici del Pd a prendere più spunti possibili da quel modello, dai suoi metodi e dai suoi principi ispiratori, mostrando a loro come il centrodestra in Lombardia e i gialloverdi a Roma, quella eredità politica la stanno quantomeno trascurando.
Non accettiamo stancamente un dibattito tra sovranisti e populisti! Ritorniamo a parlare di sussidiarietà, ritorniamo alla stima per il Buon Governo!
Un’altra cosa dirò ai miei amici del Pd: non tutto si piega e si fa con le categorie della storia e delle ideologie. Ci sono cose si spiegano e si fanno con il cuore. Ecco, provo a dirla così, per capire e dire pubblicamente che non siamo “ex”: bisogna usare il cuore.
Grazie direttore e di cuore buon lavoro
Marco Sala, via email