Afghanistan. «Non posso vivere segregata. Ho bisogno di sopravvivere»

Di Redazione
16 Dicembre 2021
La testimonianza di una giovane giornalista afghana che da quattro mesi si nasconde sotto un burqa e scappa di città in città per non essere uccisa dai talebani. «Sono costretta a considerare la fuga dal mio paese. Pregate per me»
Una donna con il burqa passa di fianco a un gruppo di talebani in Afghanistan

Una donna con il burqa passa di fianco a un gruppo di talebani in Afghanistan

Una giornalista afghana, che non può rivelare il suo nome per ragioni di sicurezza, è costretta a fuggire nascosta sotto il pesante velo di un burqa e nascondersi di casa in casa, città in città, da oltre quattro mesi per evitare di essere uccisa dai talebani. La sua unica colpa è quella di essere giovane, donna e di aver fatto il suo lavoro come giornalista, «esponendo alla luce del sole i crimini commessi dai talebani nella nostra provincia».

«Sono stufa della mia vita, pregate per me»

«Vi prego, pregate per me», aveva scritto nel primo articolo pubblicato il 10 agosto dal Guardian, quando la fuga della giovane donna di 22 anni era iniziata da due giorni. Inizialmente aveva trovato rifugio a casa di uno zio, fuori città, poi è stata scoperta e ha dovuto abbandonarla per una regione ancora più remota «dove non c’è nulla: né acqua, né elettricità. Sono tagliata fuori dal mondo».

Quattro mesi dopo la situazione è ulteriormente peggiorata: «I talebani minacciano di morte me e i miei colleghi da due anni. Ma dopo che hanno conquistato il paese, sono dovuta scappare», racconta. «Sono esausta, Sono stanca di scappare e nascondermi. Sono stanca di implorare amici e parenti per darmi rifugio nelle loro case. Per quattro mesi sono stata calciata via da una parte all’altra del paese come un pallone da calcio. Sono stufa della mia vita».

Le minacce di morte dei talebani

La giovane giornalista non dorme la notte, ha incubi costanti e pensa ormai che «la vita non abbia più alcun valore». Prima guadagnava da vivere per sé e per la sua famiglia, ora i suoi genitori «muoiono di fame», così come tanti tra coloro che la ospitano. «Non posso tornare a casa mia e alla mia vecchia vita perché metterei a rischio la sicurezza di tutti coloro che amo. Dopo la caduta di Kabul, i talebani sono passati molte volte a casa mia per trovarmi».

Ora i tagliagole continuano a chiamarla sul telefono, le scrivono che appena la troveranno la uccideranno. «Ho bloccato il loro numero, ma loro continuano a chiamarmi da numeri differenti o su Whatsapp. Ho bloccato più di cento numeri, ma ne trovano sempre di nuovi. Mi inviano messaggi vocali con terribili minacce, dicendomi le cose orrende che mi faranno appena mi prenderanno».

Le altre donne della sua città non stanno meglio: prima rappresentavano «una parte importante della vita sociale e politica, ora sono segregate in casa. Altre sono in prigioni vere e proprie per aver parlato contro i talebani. Gli insegnanti sono scomparsi e faticano a sopravvivere».

La morte dell’Afghanistan

Ecco perché per la prima volta da quattro mesi ha pensato di abbandonare l’Afghanistan:  «Non sono mai stata una rifugiata e non ho mai avuto il desiderio di vivere da qualunque altra parte del mondo che non fosse il mio paese. Ma gli ultimi quattro mesi sono stati troppo difficili e terribili per la mia vita».

Conclude:

«Mi si spezza il cuore ma sono costretta a considerare di abbandonare l’Afghanistan. Sto cercando protezioni da paesi che un tempo erano nostri alleati, così che possa sopravvivere e continuare il mio lavoro. Non posso vivere una vita da nomade. Ho bisogno di lavorare, sostenermi, contribuire alla vita della mia famiglia. Ho bisogno di dare un contributo alla società, ho bisogno di sopravvivere».

Foto Ansa

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