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Adozioni gay. I “nuovi diritti” passano dal globalismo giudiziario

Invece di marchiare come “sovranista” la legittima aspettativa di difendere la nostra identità costituzionale, rifiutiamo lo stratagemma per aggirare il chiaro divieto della maternità surrogata

Renato Veneruso
08/04/2021 - 0:30
Giustizia, Interni
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gay pride bambini

Dopo il primo sintetico commento, è il caso di tornare sulla sentenza delle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione n. 9006/2021, depositata il 31 marzo, in materia di riconoscimento in Italia dell’adozione internazionale da parte di una coppia omogenitoriale, pur se formalmente qualificata come di riconoscimento di provvedimento di adozione di un’autorità straniera.

Riprenderemo, a partire da oggi, singoli passaggi della pronuncia perché essa appare un evidente esempio di scardinamento della gerarchia delle fonti, per la prevalenza del ius receptum di fonte giurisprudenziale rispetto alla norma positiva, e quanto alla gerarchia interna all’ordinamento costituzionale rispetto alle fonti di diritto internazionale. In particolare, il punto nel quale la sentenza affronta il tema del rapporto fra ordinamento pubblico internazionale e Costituzione rappresenta un vulnus al sistema delle fonti, sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo.

Si è già avuto modo di censurare, a commento della sentenza del 5 maggio 2020 di Karlsruhe sul QE–Quantitative Easing, l’automatica prevalenza dell’ordinamento costituzionale europeo su quello domestico, indotta dalla acritica interpretazione estensiva dell’art. 11 Cost., che la nostra giurisprudenza consente all’opposto di quello che fa, invece, appunto il giudice costituzionale tedesco.

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La tendenziale interpretazione della norma costituzionale da parte degli interpreti italiani è infatti nel senso di ritenere automatica la prevalenza della normativa di derivazione comunitaria, a prescindere dalla sua conformità o meno ai controlimiti rappresentati dai princìpi fondamentali dell’assetto costituzionale e dei diritti inalienabili della persona umana, che pure la giurisprudenza costituzionale ha riaffermato, con chiarezza almeno a far data dalla sentenza nel caso Taricco.

Lo stesso ministro della Giustizia, prof.ssa Marta Cartabia, presidente emerita della Corte Costituzionale, ha avuto modo di affermare che l’art. 4 Tue, richiamato dalla Corte Costituzionale tedesca per vincolare la Ue al rispetto della «identità costituzionale degli stati membri», condiziona l’applicazione del principio del primato europeo, e legittima una lettura di tale primato attribuendo alle Corti Costituzionali nazionali la possibilità di bloccare l’applicazione della norma europea a scapito della norma interna fondamentale.

Tali timidi, seppur autorevoli, tentativi italiani di affermazione della nostra identità costituzionale sono ben più – e tradizionalmente – oggetto della giurisprudenza, malamente denigrata come sovranista, della Corte Costituzionale germanica, la quale, legando strettamente la devoluzione della sovranità nazionale alle materie effettivamente oggetto dell’attribuzione operata con i Trattati, di cui appunto al principio di attribuzione e di sussidiarietà (art. 5 Tue), conferma la propria legittimazione al sindacato della norma esterna al rispetto dei princìpi fondamentali dell’ordinamento costituzionale domestico. È accaduto di recente anche con riferimento al Recovery fund.

Nella sentenza delle Sezioni unite si va oltre: da un lato l’interprete dell’assoggettamento della norma suprema nazionale non è il giudice costituzionale bensì quello di legittimità, se pure nella sua massima assise che, è bene ricordarlo, vincola l’esegesi del giudice ordinario, per lo meno fino a una nuova eventuale pronuncia di segno contrario delle stesse SS.UU.; dall’altro, la norma di riferimento che prevale non è convenzionale, né è costituita da fonti di rango costituzionale, bensì è l’ordinamento pubblico internazionale, di derivazione giurisprudenziale, così come letto e definito dalla giurisprudenza creativa delle SS.UU. della Cassazione! Una costruzione che, come è avvenuto anche per la sentenza che a suo tempo aveva definito il caso di Eluana Englaro è la sintesi di una sorta di shopping anche fra gli ordinamenti di altri Stati.

Invece di marchiare come “sovranista” la legittima aspettativa di difendere la nostra identità costituzionale, sarebbe piuttosto il caso di censurare il globalismo giurisprudenziale, veicolo dei “nuovi diritti”: strumento nel caso di specie di aggiramento del chiaro divieto della maternità surrogata e del correlato sfruttamento delle donne, previsto dal nostro ordinamento.

Tratto dal Centro Studi Livatino.

Tags: Adozionimaternità surrogata
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