Il tragico rogo nella fabbrica-dormitorio al Macrolotto di Prato, che è costato la vita a sette cinesi che ancora non sono stati identificati, era «una tragedia annunciata». Ne è convinto Aldo Milone, assessore alla Polizia municipale di Prato che a tempi.it spiega come si è giunti a un sì triste epilogo. «Mentre da noi qualsiasi straniero può venire e aprire un’azienda come gli pare e piace senza che lo Stato per quasi due anni gli chieda nulla, all’estero nessuno ti tratta così: in Mongolia servono 100 mila dollari di cauzione per aprire un’azienda e in Cina, addirittura, non puoi aprire senza un socio cinese». Per questo serve che «intervenga il governo con una legge» sulle imprese straniere in Italia.
Assessore, anzitutto, come ha reagito la comunità locale?
Con sgomento… certamente spiace che siano morte sette persone. Purtroppo, però, la verità è che si tratta di una tragedia annunciata da mesi, fosse anche solo per la legge dei grandi numeri. I controlli nelle aziende, infatti, proseguono da tempo, e di situazioni come quella del Macrolotto, a Prato, ce ne sono ancora troppe.
Il viceconsole cinese a Firenze ha dichiarato al Quotidiano Nazionale: «Da tempo stiamo lavorando per educare i nostri connazionali al rispetto delle regole e ora faremo ancora di più». Le risulta?
L’impegno delle autorità cinesi, finora, è stato sempre solo molto formale e mai sostanziale.
Qual è l’entità del fenomeno?
In 18 mesi, dal gennaio 2012 al giugno 2013, abbiamo controllato circa 400 imprese cinesi e abbiamo trovato 1.846 lavoratori irregolari, di cui circa 1.200 in nero e 600 clandestini. Molti di loro vivono in dormitori all’interno dell’azienda in situazioni di totale illegalità e assenza delle più elementari norme di sicurezza.
Come è possibile?
Sono le leggi nazionali che, in un certo senso, lo permettono. Da noi, infatti, i controlli fiscali non scattano mai prima di 18 mesi di vita dell’azienda. I cinesi hanno capito il gioco e seguitano ad aprire e chiudere aziende che non sono mai a norma e non pagano né le tasse né tantomeno i contributi ai loro dipendenti.
Con grave danno per le imprese italiane, oltretutto. Ma cosa si può fare per cambiare le cose?
Nulla, se non interviene prima il governo con un’apposita legge che permetta di risolvere il problema. Noi siamo il Paese più democratico del mondo, tanto che chiunque venga da noi, può fregarci grazie alle nostre leggi.
Cosa intende dire?
Intendo dire che, mentre da noi qualsiasi straniero può venire e aprire un’azienda come gli pare e piace senza che lo Stato per quasi due anni gli chieda nulla, all’estero nessuno ti tratta così. In Mongolia, per esempio, servono 100 mila dollari di cauzione per aprire un’azienda e in Cina, addirittura, non puoi aprire un’azienda senza un socio cinese. Perché non mettiamo anche noi la clausola del socio italiano agli stranieri oppure non chiediamo una fideiussione da 50 mila euro a monte all’imprenditore che vuole aprire un’azienda in Italia? Se poi non paga le tasse e dopo due anni vuole chiudere, gli verrà trattenuto l’importo. Semplice. Sono solo ipotesi, sia chiaro, che però il governo dovrebbe prendere in seria considerazione.