
«La revoca delle sanzioni è una buona notizia per il popolo della Siria»

Chi l’avrebbe mai detto che un presidente degli Stati Uniti avrebbe stretto la mano a un jihadista, un passato nell’Isis e in Al-Qaeda, con una taglia americana sulla testa da 10 milioni di dollari, e l’avrebbe poi elogiato definendolo «giovane, tosto e combattente»? Sembra impossibile ma è successo settimana scorsa, quando Donald Trump in Arabia Saudita ha ricevuto il leader della Siria, Ahmad al-Sharaa, che con il nom de guerre Abu Muhammad al Jolani ha conquistato il potere a dicembre, costringendo alla fuga Bashar al-Assad.
Trump ha annunciato la revoca delle sanzioni americane contro la Siria, per «garantire pace e prosperità alla regione nel lungo periodo», secondo quanto dichiarato dal Dipartimento di Stato americano. «La notizia è stata accolta con enormi manifestazioni di gioia a Damasco» e non solo, dichiara a Tempi Benjamin Blanchard, direttore generale di SOS Chrétiens d’Orient, dal 2013 a fianco della popolazione siriana, in particolare dei cristiani perseguitati.
Lei ha definito la decisione di Trump una “buona notizia per il popolo siriano”. Perché?
Gli Stati Uniti impongono sanzioni alla Siria dal 1979 e sono state rinforzate dal 2011. Ora i siriani potranno concretamente respirare un po’ e in tanti potrebbero riuscire a risollevarsi economicamente: non dimentichiamo che il 90 per cento della popolazione vive tuttora sotto la soglia della povertà. Se le sanzioni verranno cancellate, inoltre, si potrà finalmente iniziare la ricostruzione di un paese devastato da 14 anni di guerra e combattimenti. Di fatto, oggi le sanzioni impediscono ogni tipo di ricostruzione. Infine, almeno in parte potrebbe rallentare l’emigrazione di siriani e magari in tanti potrebbero fare ritorno a casa. Ovviamente, il miglioramento dell’economia è una cosa, quello della sicurezza è un altro.
Usa il condizionale, non è convinto che gli Stati Uniti toglieranno davvero le sanzioni alla Siria?
Trump ha posto molte condizioni. Il presidente americano ha chiesto al “presidente ad interim” siriano, Ahmad al-Sharaa, di normalizzare i rapporti con Israele, anche se lo Stato ebraico occupa una parte del territorio siriano. Gli ha poi chiesto di espellere i jihadisti stranieri dalla Siria, nonostante l’abbiano aiutato a prendere il potere e molti siano stati naturalizzati. Infine, Trump ha chiesto ad Al-Sharaa di aiutarlo nella lotta contro lo Stato islamico e di prendere il controllo dei campi di prigionieri jihadisti nel nord-est del paese. Insomma, nessuno ad oggi può dire che cosa succederà.
Che cosa potrebbe cambiare per un’organizzazione come la vostra, SOS Chrétiens d’Orient, che è sempre rimasta al fianco del popolo siriano?
Dal 2013, abbiamo realizzato 800 progetti nel paese. Ma, nonostante quello che dicevano i politici, le sanzioni internazionali hanno avuto un’influenza devastante sul settore umanitario, soprattutto sul tema dei trasferimenti di denaro e della consegna di beni, in particolare delle medicine.

Con il suo caratteristico modo di fare, Trump ha elogiato Al-Sharaa. Il presidente della Siria, però, è anche un jihadista, leader di Tahrir al-Sham, ancora nella lista americana delle organizzazioni terroristiche. Trump ha fatto bene a dargli fiducia su richiesta di Arabia Saudita, Turchia e Qatar?
In diplomazia bisogna sempre dialogare con tutti. Ecco perché noi chiediamo che Francia e Siria instaurino nuovamente vere relazioni diplomatiche, che non avremmo mai dovuto interrompere. Ora, per usare un eufemismo, il passato di Al-Sharaa non depone in suo favore e neanche il bilancio di quanto ha fatto a sei mesi dal suo arrivo a Damasco.
Trump ha dato una chance alla Siria, ma come garantire che il paese che verrà costruito sia davvero per tutti e non solo per alcuni, come il trattamento riservato dai jihadisti ad alawiti, cristiani e drusi negli ultimi mesi fa temere?
Non ci sono certezze su nulla in questo momento. Tra gli annunci ufficiali, la presenza di rappresentanti cristiani, drusi, alawiti e curdi nel governo e i massacri degli alawiti all’inizio di marzo e dei drusi alla fine di aprile, c’è un mondo di differenza!
Settimana scorsa papa Leone XIV ha parlato dell’importanza delle Chiese orientali. Che cosa si può fare per aiutare i siriani a restare nel loro paese?
Il Papa ha fatto un discorso molto interessante ricordando la tradizione preziosa di queste Chiese, che deve essere conservata. Oltre a un invito al dialogo per la pace, ha detto che “ai cristiani va data la possibilità, non solo a parole, di rimanere nelle loro terre con tutti i diritti necessari per un’esistenza sicura”. In questa dichiarazione c’è tutto. È quello che i volontari di SOS Chrétiens d’Orient fanno ogni giorno da anni: essere presenti al fianco dei cristiani siriani per sostenerli.
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