Il nuovo giuramento professionale dei medici è pericoloso, e rischia di lasciare i camici bianchi indifesi davanti agli assurdi giuridici che abbiamo sotto gli occhi in questi giorni, cioè quelli prodotti dai vari tribunali che ordinano di riprendere le infusioni del metodo Stamina, nonostante le autorevoli bocciature da parte della comunità scientifica (ultimo caso: Catania). Ad affermare con decisione i pericoli connessi al nuovo codice deontologico è il Consiglio direttivo dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Omceo) di Milano, che in una nota pubblicata pochi giorni fa (qui il testo integrale) ha spiegato i motivi della decisione di continuare a seguire il vecchio testo, rigettando così quello proposto dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici.
«Nel nuovo giuramento viene meno il concetto di “alleanza terapeutica”», spiega a tempi.it Roberto Carlo Rossi, il presidente di Omceo Milano. «So che potrebbe sembrare ciarpame del passato, ma in realtà è la base specifica del nostro mestiere. Tra medico e paziente c’è un rapporto asimmetrico, e negare questa cosa è da sciocchi». Tuttavia a lasciare interdetti i medici milanesi è soprattutto l’eliminazione di un ordine nel caso in cui le norme giuridiche siano in dissidio con gli scopi della professione. Un contrasto che è emerso chiaramente, appunto, nella vicenda di Stamina.
Presidente, ci spieghi meglio.
Entriamo nel merito prendendo i testi del giuramento: in quello vecchio il medico si impegnava a «prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione». Nel nuovo testo, invece, il passaggio è diventato: «Prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della professione». Più rassicurante, ma meno vincolante.
Insomma, vi allarma il taglio del «contrasto» tra norme giuridiche e deontologiche. Nella vostra nota avete fatto notare come, secondo il nuovo giuramento, «il medico che si opponesse agli ordini palesemente sbagliati di un giudice o di un funzionario sarebbe sanzionabile».
È il punto più grave e inaccettabile del nuovo giuramento. Quando si parla di codici deontologici non si può banalizzare: se ci dobbiamo dotare di un codice comportamentale condiviso dobbiamo anche farvi riferimento. Noi crediamo che la nostra modernità possa mandare in soffitta tutto, ma purtroppo non è così, questi aspetti sono il dna della nostra professione. Infatti poi succede che dei giudici arrivino a imporre di somministrare un intruglio in cui non si sa cosa ci sia dentro perché sembra che in alcuni casi possa fare sentire meglio i pazienti. Ma questo non è metodo scientifico. Se un giudice mi impone di fare una cosa contraria alle norme che regolano la mia professione io devo poter dire “no”.
Entrando nello specifico, come giudica le ordinanze dei tribunali per spingere gli Spedali Civili di Brescia a continuare queste cure?
Non mi sono mai occupato direttamente della vicenda. Tuttavia ho seguito quanto dichiarato dall’Ordine dei medici di Brescia, nonché dal ministero della Salute. Dal punto di vista scientifico quanto sta accadendo è inaccettabile: si sta somministrando una cosa che non si sa bene cosa sia, che non ha alcun crisma di riproducibilità. Potrebbero essere anche sostanze dannose. Allora dico: è un errore “normare” queste cose attraverso un tribunale. I giudici svolgono funzioni importantissime, ma occuparsi in questo modo di cose scientifiche è un errore da parte loro. Sono cose che non vanno regolate in un aula di tribunale, ma in sede scientifica, dottrinale, tra congressi. È comprensibile che i malati si attacchino a ogni minima speranza, però la medicina dovrebbero essere libera di seguire il proprio corso.
Tornando al nuovo giuramento, perché vi preoccupa la perdita della cosiddetta “alleanza terapeutica”?
Nel vecchio giuramento si parlava di questo concetto in maniera esplicita, nel nuovo è sostituito da una più generica “relazione di cura”. Qualcuno vede questo punto come il retaggio di una medicina passata, tuttavia credo sia un concetto mai compreso del tutto: l’alleanza terapeutica non è da intendere in un senso paternalistico. Piuttosto bisogna partire dal presupposto che c’è un medico e c’è un paziente, un terapeuta e una persona che necessita di aiuti e cure, e non possiamo nasconderci il fatto che il rapporto tra i due soggetti è asimmetrico. Questo non significa che la persona con un problema debba per forza avere una malattia grave: oggetto del rapporto può essere anche solo un comportamento adottato dal paziente, di cui discutere con un medico, come ad esempio il fumo. In ogni caso, il rapporto è sbilanciato, e questo non accade perché il medico è paternalista, ma semplicemente perché fa parte della dinamica di questa professione. La mia è solo una constatazione dei fatti: c’è una persona che ha bisogno di una cosa e un’altra che gliela può offrire. Negare questa cosa è sciocco. Dobbiamo “stringere” col paziente attraverso un rapporto di natura empatica per cercare di colmare questo iato, per rendere meno asimmetrico questo rapporto.