Questo articolo, tratto dal numero di Tempi in edicola, fa parte della serie “Ragione Verità Amicizia”, il manifesto dei nostri vent’anni e della Fondazione Tempi (una proposta che si può sottoscrivere in questa pagina) – Un amico mi ha fatto leggere la proposta di impegno culturale “Un’amicizia piena di verità e di ragione” pubblicata su Tempi numero 12 del 25 marzo 2015. La lettura di questo “manifesto” mi ha fatto buttar giù, di getto, alcune riflessioni.
Sul rapporto fra Verità e Ragione – e soprattutto fra Verità e Violenza – condivido la visione di René Girard, che potrebbe essere banalmente scambiata per radicale o fondamentalista, ma che invece è solo razionale, naturalmente fino a prova contraria. Chi ama la Verità non può avere paura della prova contraria. Mai. Quando sento parlare di ricerca della Verità mi viene sempre da sorridere, perché l’uomo è assediato dalla Verità e se uno vuole vedere la faccia del nemico che lo cinge d’assedio, basta che si affacci sugli spalti del proprio castello, che ha eretto contro la Verità, con i suoi merli, i suoi barbacani e le sue torri.
La Verità ci cerca. Qualunque persona in buona fede lo sa. Qualunque persona di qualunque fede o di nessuna fede lo sa. Chiunque di noi sa la “dannata” Verità, quando fa quello che non dovrebbe fare e quando omette di fare quello che dovrebbe fare. Chiunque. La Verità ha sempre il volto di un uomo. Del Figlio dell’uomo. Di un bimbo dalla testa teneramente grande in braccio a sua madre. Di un uomo sputato in faccia dalla folla. La Verità è sempre in uno sguardo veloce come un lampo che incrocia l’occhio tumefatto di Cristo, tradito e consegnato. Perché la Verità eccita sempre la Violenza. Sempre. Per capire dove sta la Verità basta volgere lo sguardo verso dove si sta accanendo la Violenza. Non soltanto quella omicida e genocida, ma anche quella dei piccoli e dei grandi linciaggi quotidiani che si consumano nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nelle chiese, ovunque, fra noi, in questo momento. Perché lì Cristo ha preso volontariamente il posto della vittima innocente, una volta per tutte e per sempre, per dichiarare la falsità della “nostra” verità, fondata sulla Violenza.
Come ci ricorda Pascal nelle Provinciali: «È una strana e lunga guerra quella in cui la violenza tenta di opprimere la verità. Tutti gli sforzi della violenza non possono indebolire la verità, e non servono che a innalzarla maggiormente. Tutti i lumi della verità non possono nulla per arrestare la violenza, e non fanno che irritarla di più. Quando la forza combatte la forza, la più potente distrugge la minore; quando si oppongono i discorsi ai discorsi, quelli che sono veri e convincenti confondono e dissipano quelli che hanno soltanto vanità e menzogna: ma la violenza e la verità non possono nulla l’una sull’altra. Da ciò non si pretenda però di concludere che le cose siano uguali; perché vi è questa estrema differenza, che la violenza non ha che un corso limitato dall’ordine di Dio, il quale ne conduce gli effetti alla gloria della verità che essa assale; mentre la verità sussiste eternamente, e trionfa infine dei suoi nemici, perché è eterna e potente quanto Dio stesso».
Il capro espiatorio
Cristo ci ha rivelato le «cose nascoste fin dalla fondazione del mondo», ossia che l’ordine creato dall’uomo, le sue istituzioni, i suoi miti, le sue religioni, sono il frutto della Violenza di “tutti contro uno”: il meccanismo del capro espiatorio, come ci ha insegnato il grande antropologo cristiano René Girard. L’uomo ha sempre creato i suoi miti e le sue religioni, gli ultimi – in ordine di tempo – sono quelli di una ragione scientifica piegata all’autoefficacia di una potenza tecnologica accoppiata a una “volontà di potenza”. Che si erge a Ragione, a priori, in ragione della sua forza. Questa “ragione” ha ragione di noi, con gli stessi argomenti delle cannoniere dei colonialisti.
La vera Verità non ha paura delle prove. Non ha bisogno del principio di autorità. Essa ci parla sempre con parabole semplici, chiare e distinte, come i teoremi di Euclide. Tutti gli scienziati che abbiano letto due righe di epistemologia sanno che questo tipo di razionalismo non si fonda sulla Ragione, sul Logos, ma sulla barbara, pratica, politica, conveniente, efficacia della tecnologia. Rischia di divenire vero, anche e soprattutto sul piano “scientifico”, ciò che conviene. Sempre. Ciò che fa tornare i conti anche quando non dovrebbero. Siano sistemi non lineari che forziamo a divenire lineari, siano catastrofi economiche che oggi travolgono interi paesi e popoli, giustificate nel nome del “there is no alternative”. Ma lo scienziato e l’economista sanno.
Oggi ci compiacciamo dell’efficacia della tecnologia, ma avevano più ragioni per compiacersi i primi gruppi umani per la loro prima invenzione: il capro espiatorio. Nel momento in cui questi primi gruppi venivano minacciati dall’autodistruzione per la mimesi violenta di appropriazione da parte dei propri componenti, quella che in tutte le culture umane oppone un Caino a un Abele, un Romolo a un Remo, un Seth a un Osiride, quando scoprirono che era sufficiente rivolgere tutta la loro violenza su uno a caso, magari scelto perché zoppo o butterato o perché straniero o semplicemente inerme; quando capirono che bastava ritualmente prendere quel sangue innocente per produrre la catarsi sacrificale nel gruppo, il sollievo per lo scampato pericolo collettivo. Beh, quegli uomini avevano tutto il diritto di vantarsi di questa prima, “fondativa”, invenzione culturale, che arrivava presto a costruire intorno alla figura del sacrificato, che da minaccia diventava salvatore, i miti della religione, l’istituzione della regalità, i divieti e le leggi.
Per loro è stata questione di vita o di morte. Loro sì non hanno trovato alternativa. L’antropologia ci dice che specie umane si sono estinte, annientate dall’autodistruzione per non avere inventato il meccanismo del capro espiatorio e non aver iniziato a “produrre la cultura” che avrebbe portato, di lì, alla fondazione delle religioni arcaiche e delle istituzioni in grado di contenere la violenza: “sacrificio” è letteralmente “produzione del sacro”.
Il Regno cresce nel pericolo
Oggi noi, dopo che Cristo ha proclamato falsi tutti i miti e false tutte le religioni, ingiusti tutti i sacrifici, innocenti tutte le vittime, violente tutte le istituzioni umane, dopo che ci ha mostrato il vero volto di Dio che è amore e misericordia, non abbiamo più alibi sulla Verità che ci è stata rivelata tutta e che lo Spirito, traboccante, continuerà a riversarci addosso, fino alla fine dei secoli. Non abbiamo più quartiere ove ritirarci per sottrarci alla Verità dell’Agnello innocente. Non riusciamo a reggere il peso di tutte le evidenti alternative che lo Spirito ci indica.
È stata la demitizzazione operata dal cristianesimo a liberare la scienza e la modernità, così come oggi la conosciamo, con le sue straordinarie potenzialità, nel bene e nel male. E non c’è cosa più paradossale del disconoscimento di ciò da parte degli spiriti che si immaginano “liberi”, che quando pensano di ribellarsi al “mito” del cristianesimo non sanno che è stato Cristo a fornire loro gli strumenti per dimostrare falsi tutti i miti.
Non può essere un caso che il cristianesimo sia oggi oggetto di persecuzione nell’unanime indifferenza: la direzione irreversibile che la Passione ha impresso alla storia ha cambiato definitivamente il mondo, lo ha privato per sempre delle sue “stampelle sacrificali”. Nessuna “costruzione culturale” potrà coprire mai più un’ingiustizia contro anche un solo uomo. Questa è la “resurrezione” nella Storia. Questo è il Regno che cresce nel più assoluto pericolo. Ma come ci dice il grande Hölderlin nell’inno Patmos, «dove però è il rischio\ anche ciò che salva cresce».
Pier Giacomo Ghirardini è un analista del mercato del lavoro. Da alcuni anni ha avvicinato il pensiero antropologico di René Girard
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