Papa Francesco inizia il triduo pasquale con una Santa Messa che celebra questo pomeriggio nel carcere minorile di Casal del Marmo. Vi prendono parte circa 50 giovani detenuti e il Papa laverà i piedi a dodici di essi. Per sua esplicita volontà la celebrazione sarà molto semplice, non saranno ammesse telecamere e i giornalisti rimarranno fuori dall’edificio carcerario.
Scelta singolare questa di andare in un carcere come primo atto petrino nei riguardi della società laica e civile. Come si spiega se, come ha detto Francesco ai cardinali radunati per la prima messa dopo l’elezione pontificale a Santa Maria Maggiore, «la chiesa non è una organizzazione umanitaria pietosa»?
È abbastanza sfuggente, al clima mediatico e alla sensibilità sociale diffusa, questo strano “privilegio” petrino accordato a delinquenti e peccatori. Benché essi siano dei ragazzi. E dunque qualche sentimento di pietosa compassione magari riescono ancora a risvegliare anche nei forcaioli più accaniti. Dunque?
In concomitanza con un gesto, così obiettivamente indigesto, veniamo informati di quali sono state le prime parole di papa Bergoglio nel momento dell’accettazione all’elezione di Sommo Pontefice. «Sono un grande peccatore. Confidando nella misericordia e nella pazienza di Dio, nella sofferenza, accetto».
Siamo al polo opposto della posa pubblica e privata che si usano in società. La famosa e purissima “società civile”. Dove non sono ammessi evasori, ladri, puttanieri. Ma solo persone perbene, oneste, dalle “mani pulite”. Siamo al polo opposto degli attivisti della denuncia da «piazza pulita». E del mondo che si suppone sia stato creato a misura di casellario giudiziario.
Sono davvero interessanti, a ben leggerle, queste prime movenze di questo Francesco. Le sue prime parole di autoaccusa pronunciate nell’intimità del Conclave (anch’esso, non è forse una forma di forzata reclusione?). E questo suo primo gesto di forte connotazione civile che sceglie il carcere e lava i piedi a dei giovani delinquenti invece che andare in un posto di giusti (una procura o a casa Grillo, per esempio) o di vittime dell’ingiustizia.
Noi pensiamo che l’interesse, specie per noi italiani, consista in questo: consiste nel fatto che, nella situazione bellicosa e deprimente in cui ci troviamo ormai da parecchi lustri, sfiniti da una guerra che ci facciamo tra “buoni” e “cattivi”, tra “guardie” e “ladri”, tra “onesti” e “corrotti”, un papa appena eletto ci mostra la via da cui può ripartire una società che non voglia naufragare nella vanità della propria indignazione e nella presunzione della propria misura di giustizia.
Ci riporta, papa Francesco, alla coscienza del proprio peccato. Un fardello che tutti gli uomini veramente giusti dovrebbero portare anche davanti ai propri occhi. Infatti, per come è fatto veramente il mondo e per come sono fatti veramente gli uomini, tutti gli uomini, nessuno escluso, sono veramente cattivi e sporchi. E la vera grande menzogna è pensarsi veramente buoni e puliti.
Ha scritto Hannah Arendt: «Forse quegli ebrei, ai cui avi dobbiamo la prima concezione dell’idea di umanità, sapevano qualcosa di questo fardello quando ogni anno erano soliti dire: “Nostro Padre e Re, abbiamo peccato davanti a te”, facendosi carico non solo dei peccati della loro comunità, ma delle colpe di tutti gli uomini. Tutti coloro che sono disposti a seguire questa via in una sua variante moderna non si accontentano della confessione ipocrita: “Grazie a Dio non sono così”. Costoro non serviranno granché come strumenti di vendetta; ma questo è certo: su di loro e solo su di loro, pervasi come sono di un genuino timore di fronte all’ineludibilità della colpa umana, si potrà fare affidamento quando si tratterà di combattere, in ogni luogo e senza timori e compromessi, contro il male incommensurabile che gli uomini sono capaci di compiere».
Ecco, pensare che un’ebrea abbia scritto queste cose davanti a un “peccato” subito dagli stessi ebrei – l’Olocausto, sei milioni di vittime innocenti, un “peccato” infinitamente più grande e criminale di quelli che denunciamo noi adesso – forse può aiutarci a ritrovare un minimo di senso di realtà e di giustizia da cui può rinascere una persona, una famiglia, un popolo, un paese intero.