Intervistato da La Zanzara, il procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso ha dichiarato che vanno riconosciuti dei meriti al governo Berlusconi, perché «ha introdotto leggi che ci hanno consentito di sequestrare in tre anni moltissimi beni ai mafiosi». Subito si è scatenata la polemica, in particolare si è espresso molto criticamente il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, su Radio2: «Non diamo meriti a chi non li ha. Da quando in qua i governi sequestrano i beni ai mafiosi?». Alfredo Mantovano, deputato del Pdl, ex sottosegretario all’Interno del governo Berlusconi e magistrato, a tempi.it commenta: «Parlano i fatti e i numeri».
E cosa dicono i fatti? Il governo Berlusconi ha contribuito alla lotta alla mafia o no?
I fatti dicono che, in poco meno di quattro anni, sono stati confiscati 40 miliardi di euro di beni, e questa cifra supera di gran lunga quelle dei governi precedenti. Certamente vanno fatti i complimenti e riconosciuti i meriti delle forze dell’ordine e dei magistrati, ma bisogna anche chiedersi perché ci sono stati questi risultati con le stesse forze rispetto ai governi passati. La spiegazione è che i vari pacchetti sicurezza del governo Berlusconi hanno introdotto delle norme che hanno consentito di aggredire la criminalità nel punto che le fa più male, quello dei beni economici. Per esempio, sino a quattro anni fa, per aggredire i beni di un mafioso la legge prevedeva che bisognasse prima dimostrare che il mafioso fosse davvero pericoloso. Ciò ha comportato nella realtà dei problemi. Immaginiamo che il mafioso fosse morto: non era più considerato pericoloso e i suoi beni andavano agli eredi. E se il mafioso si fosse pentito, come poterlo ritenere un collaboratore ancora pericoloso? Abbiamo allora eliminato il requisito della pericolosità, per cui oggi conta esclusivamente la provenienza illecita del bene. Se la villa del boss è stata acquistata grazie a proventi illeciti, allora si sequestra, anche se il mafioso nel frattempo diventa il priore di un convento. Così sono aumentati notevolmente i beni confiscati, che poi sono stati affidati allo Stato per essere riutilizzati dalla società. A Lecce, dove vivo, una villa di un boss, dopo le opportune ristrutturazioni, diventerà una caserma dei carabinieri: è un fatto che anche simbolicamente ha un enorme valore.
Cos’altro ha fatto il governo Berlusconi?
Faccio altri due esempi. Esisteva già una norma che prevedeva, in caso di infiltrazione mafiosa, che un ente pubblico fosse sciolto, e posto sotto commissariamento da un anno e mezzo a tre anni. Era un sistema che mandava a casa però solo gli eletti, ma l’esperienza dimostrava che coloro che fanno più male all’ente pubblico sono anche i responsabili della burocrazia nei vari uffici. Mantenere la burocrazia significava, in sostanza, mantenere in vita un sistema di collusione. Per cui abbiamo introdotto una norma che ha già avuto svariate applicazioni, in base alla quale se si riscontra l’infiltrazione mafiosa, anche i burocrati sono mandati a casa come ulteriore contributo alla buona amministrazione territoriale. Un secondo esempio: i meccanismi di prevenzione che sono stati introdotti. Uno dei più apprezzati è quello della tracciabilità dei flussi finanziari. In base ad una norma del pacchetto sicurezza, per realizzare un’opera pubblica oggi va attivato un solo conto corrente, in modo che tutte le somme in entrata ed uscita transitino da quel conto con un unico codice chiaro e netto. Ciò impedisce di subappaltare la gestione dei rifiuti o la fornitura di materiale edile ad imprese mafiose, o il lavoro in nero. Questa è una norma che ci è stata sollecitata sia dalla magistratura sia dal mondo imprenditoriale. Quando ci siamo messi a tavolino per scrivere le norme, spesso abbiamo chiesto a Grasso proposte e pareri.
La polemica con la magistratura sui meriti del governo Berlusconi nella lotta alla mafia non è nuova. Da cosa nasce?
Anzitutto non è di tutta la magistratura, ma solo di una parte e la posizione più esplicita è stata quella assunta da Magistratura democratica (l’ala sinistra delle toghe,ndr). Nella sinistra più ideologizzata, vige il dogma che da destra non possa arrivare nulla di buono, in particolare sul contrasto alla criminalità. Alcuni magistrati vivono un disagio quasi fisico nel dover ammettere che la realtà dice qualcosa di diverso. Allora, piuttosto, si dirà che è la realtà ad essere sbagliata.