Domani un’altra puntata sulle primarie del partito democratico con l’analisi di Pietro Salvatori.
“Compagno sì, compagno no, compagno un…”, cantava ormai più di 30 anni or sono Ricky Gianco, già chitarrista de I Ribelli. Trasposto al giorno d’oggi, il pezzo di Gianco, non è altro se non l’ineluttabile quesito presente nella mente di una buona fetta di elettori democratici: votare o non votare alle primarie di domenica prossima. E soprattutto, per chi votare. Andiamo con ordine e sgombriamo immediatamente il campo da equivoci d’ogni genere e sorta.
Le regole della consultazione non invogliano affatto alla partecipazione. Come si vota, testuale, dal sito www.primarieitaliabenecomune.it, al punto 1: «Possono partecipare alle Primarie tutte le elettrici e gli elettori in possesso dei requisiti previsti dalla legge e coloro che compiono 18 anni entro il 25 novembre, i cittadini europei residenti in Italia e i cittadini di altri paesi in possesso di regolare permesso di soggiorno e carta d’identità». E fin qui, ci siamo.
Gli ostacoli, tuttavia, cominciano a palesarsi dal punto 2: «Dal 4 al 25 novembre è possibile sottoscrivere l’appello “Italia.Benecomune” e iscriversi all’Albo degli elettori. All’atto dell’iscrizione, dopo aver versato un contributo di 2 euro si riceve il certificato di elettore di centrosinistra». In altre parole, il voto – d’altronde già in moltissimi hanno posto l’attenzione su detto dato – non è automatico. Prima, infatti, occorre registrarsi. Barriera in entrata, insomma, dettata dalla registrazione all’Albo».
Punto 3: «Ci si può registrare on line al sito www.primarieitaliabenecomune.it. Stampa il modulo e recati presso l’ufficio elettorale per completare la registrazione». Ovvero, la registrazione on line altro non rappresenta se non una sorta di pre-registrazione da completare – sempre come da regolamento – al seggio. Fisicamente. Senza dimenticare la questione legata alla particolarità della sfida. A doppio turno, nella misura in cui domenica prossima, 25 novembre, non dovesse esservi alcun candidato oltre il 50 per cento dei voti. Inoltre, chi non avrà esercitato il suo diritto al primo turno non potrà votare al ballottaggio.
Regole barocche, dunque. Certo, l’ipotesi degli “infiltrati” di centrodestra – per votare Matteo Renzi? ndr – è dietro l’angolo. Ciò non toglie, però, quanto possano considerarsi disincentivanti per molti simpatizzanti ed elettori democratici le norme poc’anzi citate. Ciononostante voterà, il simpatizzante ed elettore democratico. Eccome, se voterà.
Ma, dilemma dei dilemmi, chi votare? Sebbene alcuni prendano seriamente in considerazione l’idea di votare Nichi Vendola, leader di Sel e governatore della Puglia dal 2005, la sfida epocale e generazionale si giocherà tra il segretario Pier Luigi Bersani e il sindaco di Firenze Matteo Renzi.
Nel suo bel libro A Vita. Come e perché nel Partito democratico i figli non riescono a uccidere i padri, Antonio Funiciello descrive con estrema dovizia di particolari le figure del “papa” e dell’”antipapa” nel già Pci-Pds-Ds prima e nel Pd poi. Trattasi di due dei leader storici della generazione berlingueriana del compromesso storico, nata a cavallo tra la seconda metà degli anni ’40 e della prima metà dei ’50: Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Legato a doppio filo all’ortodossia sinistrorsa italiana il primo, più innovatore nonché democrat all’americana il secondo. Prova provata, la sua idea di partito partorita nel 2007 al Lingotto. Vocazione maggioritaria e ottimo 33 per cento alle politiche del 2008, in condizioni tutt’altro che favorevoli, per una forza politica non più fusione tra post democristiani e comunisti ma terza rispetto a dette esperienze.
Oggi, l’eterno dualismo Veltroni versus D’Alema può – mediante una semplificazione, certo – trasferirsi nell’interessantissima ed (già definita come tale) epocale sfida Bersani versus Renzi. Sinistra classica contro sinistra (?) moderna un po’ Tony Blair, nel pantheon di riferimento del rottamatore per antonomasia, un po’ Walter Veltroni del Lingotto. Il tutto con un’ottima dose di scoutismo. E l’elettore democratico, in questo senso, è letteralmente dilaniato.
Il perché è presto detto. Fautore del papismo e dell’antipapismo in egual misura, l’elettore medesimo riconosce torti e ragioni in entrambi i candidati. Meglio, si commuove – sì, commozione è proprio il termine giusto – riconoscendo in lui la vecchia guardia. Ne riconosce, inoltre, le ottime qualità di ministro. Ai tempi del secondo governo Prodi, dal dicastero dello Sviluppo Economico, l’unico politico dell’intero arco costituzionale – il decreto legge ultimo poi convertito, in peggio, dalle camere appartiene al governo Monti, ndr – a proporre al parlamento e al paese un pacchetto (lenzuolata, ndr) di liberalizzazioni. Contraltare, però. Individua, sempre l’elettore di cui sopra, quanto le donne e gli uomini contigui alla segretaria Bersani abbiano ormai fatto il loro tempo. Meglio, non abbiano dato alcunché all’Italia. Tutt’altro. Si veda, per esempio, alla voce riforma delle pensioni di Cesare Damiano. Scalino, in antitesi allo scalone Maroni del 2004, vera anticamera della – durissima – riforma Monti-Fornero contenuta nel Salva Italia del dicembre dello scorso anno.
E Renzi? Be’, da molti simpatizzanti/elettori – non militanti, non sia mai – è considerato alla stregua di un innovatore. Pone questioni serie, vere e pregnanti, il sindaco di Firenze. Da sinistra moderna non più ancorata a logiche da anni ’70. Eppure, è guardato con sospetto. Perché chi non proviene da tale albero genealogico, chi è alieno rispetto all’ortodossia “subisce” – virgolettato è d’obbligo – questo genere di trattamento.
E allora, chi votare? L’ardua sentenza al momento del voto, domenica. Dilemma, almeno per ora, irrisolvibile. Di facile risoluzione, invece, il primo tra i quesiti posti in questa sede. L’elettore (medio) del Partito democratico – o centrosinistra che dir si voglia – voterà. Si metterà diligentemente in fila, ancora una volta, e voterà. Anzi, di file ne farà due. Semplice, il motivo: ancora non s’è registrato all’Albo degli elettori.