«Nel nome di Maria finii, e quivi/ caddi, e rimase la mia carne sola./ Io dirò vero, e tu ‘l ridì tra i vivi:/ l’angel di Dio mi prese» (Purgatorio, canto V)
«Ho seguito il tuo consiglio, sono stato al Santuario. Grazie». Dopo questo sms a un amico, la voce di Giuseppe Turri si è inoltrata nel silenzio, ma in quel silenzio ricco di suggestioni che s’incontra in montagna. È il silenzio loquace e intenso che ha le forme, le immagini e i saliscendi della realtà, con cui Giuseppe amava da sempre dialogare: architetto intraprendente, fotografo per passione e sportivo, gli si sentiva spesso dire: «Che spettacolo!». Ha continuato a inoltrarsi, a guardare e a dialogare con lo spettacolo del creato anche quando per il resto del mondo, famiglia e amici, è risultato irraggiungibile e poi scomparso. Quell’ultimo sms Giuseppe l’ha mandato martedì 15 luglio dal Santuario mariano di Pietralba a Bolzano, dove si era recato per avere un po’ di ristoro dall’intensa attività lavorativa, e poi di lui non si è saputo più niente per vari giorni. Finché il suo cadavere è stato ritrovato, tramutando l’ansia dei familiari nel dolore di una perdita. Un incidente fatale, in cui per un’ultima volta e lontano dagli occhi di tutti il giovane 39enne è stato a tu per tu con la voce di Maria e con lo spettacolo dei monti.
Potrebbe essere la storia perfetta da raccontare a Chi l’ha visto?, indugiando sui dettagli misteriosi della scomparsa, sulle ipotesi di un incidente a cui nessuno ha assistito, su altre patetiche leve emotive. Già, e chi l’ha visto in quei giorni in cui il suo corpo spento è rimasto solo tra le montagne? La sua mamma ha dato una risposta che lascia attoniti: «Se il suo angelo custode non l’ha protetto dall’incidente, significa che Giuseppe era pronto e ha compiuto la sua vita». Ecco chi l’ha visto. E il suo angelo non lo ha perso di vista anche quando lo ha lasciato andare. Perché lo ha lasciato, per poi riacchiapparlo subito.
Chi di noi ha letto e amato Il cavallo rosso di Eugenio Corti si ricorda senz’altro la scena finale in cui Alma è vittima di un incidente e di come l’autore racconta gli istanti della sua morte, anch’essa avvenuta in solitudine: «Ebbe solo una lontana, lontanissima percezione di freddo, e fu la sua ultima percezione quaggiù. Sulla sua anima, come due falchi, piombarono ad ali chiuse i due angeli: il suo e quello di Michele, pronti all’ultima difesa contro eventuali insidie all’ingresso nel mondo degli spiriti. Ma non ci furono insidie». A quelli che sghignazzano quando si parla di angeli, vorrei mostrare gli occhi penetranti e serissimi che vidi puntare da Eugenio Corti verso noi studenti che sorridevamo, quando lui ci parlava della presenza dell’angelo custode al suo fianco quando fece la ritirata di Russia. No, per lui non era un miraggio.
Chi l’ha visto? – si chiede l’indagine umana. Chi ci guarda? Anzi: chi ci fa la guardia? – è la speranza di chi sa che l’occhio umano, per quanto premuroso, non basta. Ho parlato con la cognata di Giuseppe, la quale mi diceva che in questi giorni di lutto sono stati accompagnati e sostenuti da queste parole del Libro della Sapienza: «Divenuto caro a Dio, fu amato da Lui e poiché viveva fra peccatori, fu trasferito. Fu rapito». Occorrono occhi e grinfie di falchi, a custodirci e ad afferrarci.