Angela Merkel si intrattiene a colloquio con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan e si dice «inorridita dai raid russi» in Siria, il Corriere della Sera lamenta l’intervento illegittimo dell’esterno (alla Siria) Vladimir Putin che ha rimesso in sella il regime di Assad, capovolgendo le sorti della battaglia, sempre dalle colonne del quotidiano di via Solferino, ma anche da quelle di Repubblica, le fazioni di ribelli della provincia di Aleppo si lamentano dei bombardamenti e della mancanza di acqua.
A cinque anni di distanza dall’inizio di questa folle guerra in Siria, la stampa internazionale ricopre ancora il ruolo di strumento di propaganda, non potendo fare a meno di dividere gli schieramenti in presunti buoni contro presunti cattivi e parteggiando per i primi contro i secondi.
IL GIOCO DELLA TURCHIA. Nel gioco delle dichiarazioni, Merkel sceglie di schierarsi decisamente con la Turchia, e quindi condannare la Russia, per evitare che le migliaia di profughi che si ammassano alle frontiere turche vengano fatte partire per l’Europa. Ma non sono innanzitutto le bombe dei caccia russi a causare i profughi, quanto la guerra siriana. E il primo ad aver fomentato e prolungato questa guerra è proprio il governo turco, che per anni ha fatto passare dalle sue frontiere decine di migliaia di combattenti stranieri, andati ad ingrossare i contingenti jihadisti, nella speranza di far cadere il regime sciita di Assad e di instaurare un governo sunnita facilmente controllabile. Quando critica la Russia e Assad, che credibilità può avere la Turchia che non ha mai voluto bombardare l’Isis e che quando si è deciso a intervenire ha attaccato i curdi invece dei jihadisti?
RETORICA DEI RIBELLI. Anche la retorica dei ribelli è insopportabile. Squalificare Putin accusandolo di essere un elemento estraneo alla guerra “civile” non è credibile. Come ricordato dall’inviato della Stampa due giorni fa, «nelle formazioni ribelli Jaysh al-Fatah e Jaysh al-Muhajirin (…) ci sono uomini provenienti da Arabia Saudita, Cecenia, Daghestan, Uzbekistan». Non si può ancora far finta che quella siriana sia una semplice guerra civile. È una vera e propria guerra internazionale, dove i combattenti provengono da ogni nazionalità del mondo, e dove le formazioni “ribelli” nel nord del paese combattono insieme ad Al-Nusra, filiale siriana di Al-Qaeda, e ai jihadisti finanziati e armati da Qatar, Arabia Saudita e Turchia.
DOVE SONO I “MODERATI”? Sull’ideologia di questi “ribelli”, poi, è illuminante il recente rapporto del Centro su religione e geopolitica della fondazione di Tony Blair. In Siria, si legge, ci sono almeno 100 mila combattenti estranei all’Isis che però ne condividono ideologia ed obiettivi. Il 60 per cento dei ribelli appartengono a gruppi con un’agenda islamista. Più della metà di questi sono jihadisti salafiti, appartenenti a 15 fazioni tanto pericolose quanto l’Isis, e si trovano ad Aleppo e Idlib.
Tra questi c’è Jaish al-Islam, l’Esercito dell’islam, un nome un programma, finanziato da Ankara, Riyad e Doha, che ha come obiettivo la creazione di uno Stato islamico guidato dalla sharia in Siria. Il fatto che Mohamed Allouche, rappresentante del gruppo, si rechi in giacca e cravatta a Ginevra a negoziare e goda di buona stampa (il Le Monde lo intervista come “uomo di pace”), non basta a fare di lui un buon ladrone.
BOME DELL’INFERNO. Quando poi si leggono le interviste ai leader ribelli accerchiati dall’avanzata dell’esercito siriano, aiutato da iracheni ed Hezbollah libanesi, che lamentano i bombardamenti indiscriminati e la scarsità dell’acqua, non può non balzare agli occhi il paradosso. Chi è che dal 2012 assedia la parte ovest di Aleppo, dove vivono oltre due milioni di persone, tagliando alla popolazione acqua ed elettricità? Chi ha cercato di prendere per fame e per sete la popolazione siriana di Aleppo, terrorizzandola con bombardamenti quotidiani e indiscriminati uccidendo centinaia e centinaia di civili? Chi è che ha mirato apposta con i mortai case, palazzi e chiese? I ribelli, quelli che la stampa occidentale chiama “moderati”. E le loro “bombe dell’inferno”, come le chiamano ad Aleppo, non uccidono meno di quelle russe.
Foto Ansa/Ap