Walter Veltroni

Di Luigi Amicone
17 Gennaio 2008
Sono un leader all'americana. Come Obama

Peccato che glissi abilmente su un aspetto non secondario della proposta di una moratoria internazionale sull’aborto. Peccato che resti un po’ sul generico andante in materia di responsabilità politiche sul caos rifiuti e sul tramonto del tessuto civile in Campania. Ma non si può chiedere proprio tutto. Non si può pretendere che Walter Veltroni risponda proprio a tutto. È un momento molto delicato per la sua leadership, e ci vuole già molto coraggio per accettare una conversazione con un giornale che non gli ha mai lesinato critiche. Massimo D’Alema e Romano Prodi gli mandano quotidianamente segnali in direzione opposta a quella che il segretario del Partito democratico ha intrapreso alla vigilia di Natale con la storica apertura di dialogo sulle riforme nei confronti del capo dell’opposizione Silvio Berlusconi. E poi anche lo stesso Cavaliere ogni tanto ci mette del suo (vedi uscita sulla Gentiloni) per complicare il sospirato inizio della nuova stagione dopo quella, troppo lunga, del governo Prodi. Perciò, innanzitutto grazie al signor W. che ha accettato di parlare con Tempi.
Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera ha espresso delusione per una leader-ship, la sua, popolare, stile americano, guadagnata con tre milioni e mezzo di voti, da cui lei non avrebbe tratto la necessaria decisione a battersi come si conviene a un leader. Insomma, le rimproverano di stare al gioco della vecchia politica e di non affrontare di petto le grandi questioni in cui si dibatte il paese. Vuole iniziare a smentire questa sensazione spiegando qual è in definitiva la sua posizione sulla legge elettorale?
Non mi piace il gioco dei media che mi accusano un giorno di essere troppo decisionista e quello successivo di aver rinunciato alla leadership. Posso rispondere semplicemente rivendicando il fatto che il Pd è davvero un partito nuovo nato con il concorso di tre milioni e mezzo di persone. Non era una scelta scontata (se ricordate io ero contrario all’elezione diretta del segretario), ma si è voluto questo sistema, quindi bisogna assumerne tutte le conseguenze politiche. Le primarie, la scelta di andare ben al di là della fusione di due partiti hanno visto nascere il Pd con quello che chiamerei un vero big bang democratico. E veniamo alla legge elettorale: se oggi la questione è all’ordine del giorno, se una soluzione appare possibile, lo si deve proprio all’iniziativa del Pd. Ricordo che quella che noi abbiamo proposto non è semplicemente la modifica del “porcellum”, è qualcosa di più, è una vera visione istituzionale che permetta di superare alcuni dei problemi di instabilità, frammentazione, difficoltà a decidere che sono propri del nostro sistema. E allora sì a una nuova legge elettorale che vuole superare le alleanze coatte e i tantissimi partiti prodotti dalla legge voluta dal centrodestra. Torno a ribadire la nostra scelta di fondo (a cui non rinunciamo) per il sistema semipresidenziale francese e per il doppio turno, ma realisticamente ci stiamo muovendo per una soluzione immediata che sia di tipo proporzionale con uno sbarramento al 5 per cento e con una serie di elementi che puntino al bipolarismo (il voto unico è uno di questi, come un piccolo premio al primo partito o l’assegnazione circoscrizionale dei seggi). Ma questo va accompagnato da modifiche istituzionali che assegnino a una sola Camera il potere legislativo, creando un Senato federale con altre funzioni, a un rafforzamento dei poteri del premier e della stabilità dei governi, con un taglio del numero dei parlamentari. E in più chiediamo che siano modificati i regolamenti parlamentari perché la frantumazione non torni attraverso il meccanismo perverso dei “partiti cartello” che tornano a dividersi in gruppi parlamentari. So che le questioni sono difficili e possono apparire lontane dai problemi delle persone. Ma la nostra proposta serve a far funzionare la “macchina” per rispondere meglio ai problemi del paese.
E allora veniamo agli altri problemi, cominciando dalla crisi dei rifiuti in Campania.
L’emergenza rifiuti va affrontata e risolta anche superando quel groviglio di particolarismi e di no che hanno fatto blocco: credo che su questo argomento nel centrosinistra serva un profondo rinnovamento, un segnale di grande discontinuità. La vicenda dell’immondizia chiama in causa non solo errori o ritardi, ma chiede alla politica profondi mutamenti. Il Pd si è dato alcuni grandi obiettivi, tra questi c’è anche l’affermazione di un ambientalismo del fare: dire sì alle ferrovie, sì ai pannelli solari, sì ai termovalorizzatori.
Questione Malpensa-Alitalia. Il Nord si chiede se sia proprio necessario smantellare il più grande aeroporto italiano per assicurare un buon affare ad Air France, come pare sia intenzionato a fare il governo.
Credo che tenere insieme i due poli della questione non aiuti a risolverla. Io reputo Malpensa strategica non solo per il Nord, ma per l’Italia intera. Credo che sia uno dei grandi nodi del traffico aereo europeo. Alitalia può liberare gli slot che non intende usare e fare spazio ad altre compagnie guardando con interesse alla liberalizzazione dei voli. L’Italia potrebbe agire in sede comunitaria perché il regime di “open skies” venga aperto a breve non solo per il Nord America (cosa prevista per i prossimi mesi) ma anche per Asia e Africa. Per quanto riguarda la vendita del vettore, se ne stanno occupando il governo e l’azienda, e credo che l’offerta di Air France sia solida: la giudicheremo dal piano industriale e dalle prospettive di sviluppo.
Rispondendo all’appello di Giuliano Ferrara per una moratoria sull’aborto lei ha scritto al direttore del Foglio che «non mi spaventa una discussione di merito che tenga a rafforzare gli aspetti di prevenzione, perché l’aborto non è un diritto assoluto, ma sempre un dramma da contrastare». Ora, oltre a sostenere una politica di prevenzione e tutela della maternità, la moratoria si prefigge di suscitare un’iniziativa del governo italiano che, analogamente a quanto è stato fatto per la pena di morte, produca effetti di rilevanza internazionale. A questo riguardo, lei appoggerebbe o no la proposta di portare all’Onu un emendamento all’articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che completi la proposizione «ogni individuo ha diritto alla vita» con l’aggiunta «dal concepimento alla morte naturale»?
Il Pd ha detto che avrebbe incontrato Giuliano Ferrara. Lo faremo. Ci tengo però a distinguere la questione della legislazione italiana sull’interruzione della gravidanza, la legge 194 che io giudico una buona legge, dalla sensibilità che bisogna mostrare per il rispetto della vita umana. Sulla 194 ripeto che è una buona legge perché ha dato una risposta alla piaga degli aborti clandestini, è riuscita a dimezzare quasi le interruzioni di gravidanza. Il rafforzamento degli aspetti di prevenzione dell’aborto mi trova d’accordo, ma faccio presente che i timori espressi da Ferrara (eugenetica, aborto fatto per selezione sessista.) non riguardano il nostro paese e la nostra legislazione.
Dopo la sua apertura di credito a Silvio Berlusconi sulla legge elettorale, Romano Prodi sembra diventato iperproporzionalista e difensore dei piccoli partiti. La posizione del presidente del Consiglio si riflette all’interno del Pd e trova naturalmente in Rosy Bindi l’avversario più strenuo al dialogo con il leader dell’opposizione. Crede che a questo punto anche lei sia costretto a fare un passo indietro e a rinviare l’approfondimento del dialogo sulle riforme a dopo il referendum?
No. Credo che la sua domanda sia un po’ troppo provocatoria. Lasciamo da parte i giudizi su Prodi e Rosy Bindi, che non sono diventati iperproporzionalisti. Veniamo alla sostanza. Io credo che il dialogo possa continuare. Ci credo proprio perché non
l’ho mai visto come un gioco tutto politico per “agitare” il quadro: di una riforma l’Italia ha bisogno. Siamo, l’ho detto, all’ultimo miglio e so bene che è il più difficile. Di scossoni in questi giorni ne abbiamo visti, di dichiarazioni e correzioni anche. Il fatto molto semplice è che le regole si scrivono insieme, maggioranza e opposizione: Berlusconi rappresenta il partito più forte dell’opposizione e va coinvolto.
Cosa ne pensa del ddl Gentiloni? Prima di Natale la maggioranza aveva promesso di approvarlo entro gennaio. Crede che sia possibile e auspicabile l’approvazione in tempi brevi di una legge che il leader dell’opposizione considera un atto di guerra contro Mediaset?
La Gentiloni va discussa in Parlamento rispettando i tempi senza forzature in alcun senso: i calendari li scelgono le Camere, e guai a tentare di mescolare indebitamente i diversi piani. Abbiamo detto fin dall’inizio che le regole e l’azione di governo vanno tenuti separati. Se si cerca di sovrapporli o di usarli come merce di scambio si rischia di sfasciare tutto.
Lei sa meglio di noi quante lacerazioni stia producendo all’interno dello stesso Pd il confronto tra i cosiddetti teodem, i cattolici democratici e i “laici” che, come Eugenio Scalfari e Piergiorgio Odifreddi, escludono nettamente la compatibilità tra ragione e fede, e non apprezzano l’irruzione sulla scena pubblica di un certo cattolicesimo. D’altro canto è vivissimo il dibattito sulla laicità. Anche all’interno del Pd si sta discutendo di manifesti e proposizioni in materia. Lei che idea ha di laicità e cosa ne pensa dell’irruzione sulla scena pubblica di un pensiero forte come quello di papa Benedetto XVI?
Io vedo molto dibattito, ma anche l’affermarsi di valori condivisi. La commissione chiamata a stilare il manifesto dei valori del Pd ha sostanzialmente varato un documento unitario senza quelle fratture o incompatibilità di cui tanto si era parlato. Ho detto e ripetuto che la laicità è un valore irrinunciabile per il Pd, ma questo non vuol dire affatto tenere la fede e le religioni, per chi crede, fuori dalla sfera pubblica. Credo al contrario che esse siano un elemento di ricchezza quando si confrontano con altri elementi valoriali ed etici che vengono da altre tradizioni e culture.
Elezioni americane. Lei ha scritto la prefazione alla traduzione italiana del libro di Barak Obama, L’audacia della speranza, che è una sorta di manifesto degli ideali di questo sorprendente nuovo protagonista della scena politica statunitense. Quali sono le ragioni della sua convinta e appassionata stima nei suoi confronti?
Obama mi ha colpito subito, fin da quando ho letto il suo discorso alla convenzione che lanciava quattro anni fa la candidatura di John Kerry. Intendiamoci, anche la candidatura di Hillary Clinton o quella di John Edwards sono buone candidature, l’importante è che a novembre sia un democratico a vincere le elezioni. Ma confermo la mia preferenza per Barak Obama. Quello che mi colpisce è la sua capacità di leadership calda, coinvolgente, che parla al cuore e non solo alla mente. Non è un caso che in queste primarie abbia avuto il voto dei giovani e degli indipendenti. Gli americani vedono in lui questa spinta forte al cambiamento, Obama è un leader capace di apparire ancora oggi l’incarnazione del sogno americano (persino nella sua biografia) e insieme un politico pragmatico capace di affrontare i problemi e di rispondere alle domande reali dei cittadini.  

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