Viva l’informazione di parte. L’unica vera

Di Respinti Marco
25 Ottobre 2001
«Uffa, un’altra sbarbata delle solite». Ho pensato così quando, giovedì 18, il direttore mi ha spedito a seguire Gianluigi Da Rold, capo uffico stampa della Compagnia delle Opere, che — ospiti del “Club Santa Chiara” presieduto da Marco Palmisano — intervistava Mario Giordano, direttore di “Studio Aperto”, sul tema “La Tv tra fiction e realtà: il ruolo dell’informazione nella ricerca del vero”. Piacevole sorpesa, invece.

«Uffa, un’altra sbarbata delle solite». Ho pensato così quando, giovedì 18, il direttore mi ha spedito a seguire Gianluigi Da Rold, capo uffico stampa della Compagnia delle Opere, che — ospiti del “Club Santa Chiara” presieduto da Marco Palmisano — intervistava Mario Giordano, direttore di “Studio Aperto”, sul tema “La Tv tra fiction e realtà: il ruolo dell’informazione nella ricerca del vero”. Piacevole sorpesa, invece. Niente pistolotti sulla trasparenza, sull’incultura dei giornalisti che andrebbe evitata, sul “vorrei ma non posso” della neutralità, sul fantomatico mito dell’oggettività; o comunque non solo quelli. Ma procediamo con ordine. Per Mediaset, dice Giordano, un pezzo di un minuto e 40 è già lungo; sulla Rai, più di 1,20 te lo scordi. Ciò premesso, il suo motto «dichiariamo tutto quello che facciamo e diciamo» è l’unica garanzia che resta all’utente. Se la “completezza e l’oggettività dell’informazione” dei giorni bui dell’“eskimo in redazione” evocati da Da Rold sono per fortuna tramontati, parlare di verità facendo i giornalisti è possibile solo in un modo. Schierandosi apertamente. «La verità esiste — dice Giordano — e siccome esiste, ci si può arrivare solo partendo dalla e contando sulla ricchezza della diversificazione». L’oggettività (falsa) è morta; anzi, non è mai esistita. Uno dice quel che è, chi è, e così uomo avvisato, mezzo salvato. Anche in tivù. Certo, come sottolinea Giordano, resta il problema che, da noi, l’unica dichiarazione di appartenenza ideologica a cui si ha il coraggio di esporsi è quella sinistrese, sinistrorsa, comunque sinistra. Paese di sinistrati, il nostro; governi pure chi vuole, seppur più snob e meno urlata di ieri, la ministra è sempre quella. Siamo il Paese dell’osservanza e dell’ortodossia. Anche quando crollano le torri, i muri e le città, noi stakanovisti ideologici marciamo compatti alla meta e fedeli alla linea. Eppure, due talenti del giornalismo italiano sostengono che l’unica libertà resta quella di appartenere. Dicendolo. Diffidando, insomma, dei troppo buoni (e dei troppo onesti, dei troppo sorridenti, dei troppo asettici, etc.)

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