Lettere dalla fine del mondo

Viva il dialogo interreligioso, ma non si dimentichi il grande esempio delle Reducciones

Articolo tratto dal numero di gennaio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Il documento finale del Sinodo dell’Amazzonia propone in uno dei suoi capitoli il dialogo ecumenico, interreligioso e culturale con attenzione a «la realtà multietnica, multiculturale e multireligiosa dell’Amazzonia (…), riconoscendo anche la molteplicità degli interlocutori: i popoli indigeni, gli abitanti dei fiumi, i contadini, le altre Chiese cristiane e denominazioni religiose, le organizzazioni della società civile, i movimenti sociali popolari, lo Stato, infine, tutte le persone di buona volontà che perseguono la difesa della vita, dell’integrità, della creazione, della pace e del bene comune» (23).

In un altro punto (25) il documento riferisce che, in Amazzonia, «il dialogo interreligioso si svolge soprattutto con le religioni indigene e i culti afro-discendenti. Queste tradizioni meritano di essere conosciute, comprese nelle proprie espressioni e nel rapporto con la foresta e madre terra».

Alla luce di queste ed altre conclusioni che sono state concordate nel Sinodo celebrato a Roma, sono sorte alcune voci che hanno messo in discussione quelle espressioni, avvertendo il rischio che rappresenta aprire le porte ad alcune “dottrine” equivoche.

Questa preoccupazione non è un’invenzione né è nuova all’interno della nostra Chiesa. Basta ricordare la Dichiarazione Dominus Iesus, pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede nell’anno 2000, nella quale si riaffermava la dottrina tradizionale della Chiesa cattolica, madre e maestra. Il documento, come si ricorderà, rispondeva a una domanda che era stata formulata nel dicastero vaticano: se Cristo è un profeta, e tutte le religioni sono uguali, dunque, che senso hanno il Vangelo e la Chiesa? In risposta a questa domanda la Congregazione, con a capo l’allora prefetto cardinale Joseph Ratzinger (attuale papa emerito Benedetto XVI), pubblicò la dichiarazione nella quale si riafferma il carattere unico ed universale della salvezza portata da Cristo.

Come spiegò allora il cardinal Ratzinger, il documento affrontava un tema di grande importanza e che, senza dubbi, avrebbe fatto male alla società attuale (incluso il mondo delle religioni): il relativismo. In Dominus Iesus, la Santa Sede afferma che «deve essere fermamente creduto che la Chiesa pellegrinante è necessaria alla salvezza. Infatti solo Cristo è mediatore e la via della salvezza; ed egli si rende presente a noi nel suo Corpo che è la Chiesa».

Ora, valorizzandolo e cercando di comprendere la sfida lanciata da papa Francesco nel recente Sinodo dell’Amazzonia, sarebbe buono ricordare l’esperienza dei missionari, quegli uomini e donne appassionati della gloria umana di Cristo che, mossi dalla fede, lasciarono tutto per seguirlo e annunciarlo nelle nostre terre. Basta entrare nel cuore dell’esperienza gesuitica, espressa storicamente nell’avvenimento di fede che furono le Reducciones, che sintetizzano tutto il contenuto, lo spirito, la passione di sant’Ignazio di Loyola e dei suoi figli, peccatori come tutti ma autenticamente innamorati di Cristo!

Questi uomini, scelti dalla Compagnia di Gesù con criteri assolutamente selettivi, abbandonarono con l’entusiasmo dei primi cristiani i loro genitori, amici, la loro cultura, il loro paese solamente per la Maggior Gloria di Cristo, “Ad Maiorem Dei Gloriam!” con il desiderio di conquistare tutti per Cristo, costruendo il suo corpo che è la Chiesa. La vita di questi missionari era definita dalla passione di sant’Ignazio per Cristo e la sua Chiesa. Questi uomini lasciarono tutto, dimostrando un amore senza paragone agli indios, con nessuna altra forma di solidarietà, per creare nella selva la Compagnia di Gesù, cioè il cristianesimo.

Cosa è il cristianesimo? È la compagnia di Gesù che vive dentro un perimetro geografico cambiato dall’evangelizzazione. La Chiesa è l’amicizia con Cristo e con coloro che si riconoscono in Cristo, come «via, verità e vita».

Un’esperienza unica

La storia delle Reducciones, che si estese per quasi 150 anni dalla fine del XVI secolo fino a metà del XVIII, è stata interpretata dagli stessi abitanti originari della regione, gli indios guaranì, e dalle personalità dell’epoca, come padre Antonio Ruiz de Montoya o padre Antonio Sepp, definito come «il genio delle Reducciones». In seguito a questo incontro tra gli indios guaranì e un cristianesimo vivo, nacque questa esperienza assolutamente unica, originale e differente da qualunque altra cosa.

Per questo, conoscendola, sorprende pensare come fu possibile 400 anni fa creare in mezzo alla selva queste imponenti basiliche. Una sorpresa che aumenta allo scoprire il sistema di proprietà e il modello economico sviluppato nelle Reducciones, dove le persone che prima vivevano in mezzo alla selva erano arrivate a creare un sistema produttivo capace di sostenere più di 140 mila persone in 30 Reducciones. Colpisce anche il modello di educazione proposto e vissuto in questa esperienza, un metodo che permise di alfabetizzare tutti i bambini grazie a un sistema di scolarizzazione obbligatoria, quando ancora in Europa la maggior parte della popolazione era analfabeta.

Per questo, senza trascurare la proposta del «dialogo ecumenico, interreligioso e culturale», i nostri pastori dovrebbero maggiormente insistere sul desiderio che Cristo sia conosciuto e amato; e che la nuova evangelizzazione «sia l’accadere delle nuove Reducciones», cioè un cristianesimo, una “Compagnia di Gesù” dentro il mondo, capace ancora una volta di creare la “società” cristiana che è il frutto di una fede vissuta nel quotidiano e in tutti i dettagli della vita.

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