Viva “I monologhi della vagina”. Abbasso la vagina

Di Redazione
07 Febbraio 2020
Perfino la celebre opera-manifesto femminista di Eve Ensler deve essere censurata per non rischiare di offendere i trans e altri generi sessuali "non binari"
Eve Ensler, autrice dei Monologhi della vagina

Il sesso è sessista anche quando è gentile. E così il furore censorio politicamente corretto ora si accanisce perfino sulla parola “vagina”, organo fornito in dotazione esclusiva alla donna biologica e dunque per forza di cose discriminatorio, secondo il mantra indifferentista del gender. A ennesima riprova del fatto che un’ideologia germinata dall’antica battaglia per la parità portata avanti dalle femministe ha finito per ritorcersi contro di loro, dalla culla del progressismo americano arriva la notizia che nell’epoca della “non binarietà” non si portano più nemmeno I monologhi della vagina.

Il fatto – non privo di precedenti, per la verità – è che una scuola superiore di Berkeley, California, ha deciso quest’anno di tagliare e riscrivere, a partire dal titolo, la celebre opera di Eve Ensler, divenuta di fatto un manifesto femminista che ogni anno torna in scena (il 14 febbraio) come un rito consolidato contro la violenza sulle donne e per i loro diritti. Alla Berkeley High School, i Vagina Monologues non si chiameranno più così, bensì semplicemente Our Monologues, “i nostri dialoghi”, con l’intento appunto di rendere la celebrazione più “inclusiva”. Poiché al giorno d’oggi, si sa, non tutte le donne hanno una vagina e non tutte le vagine appartengono a donne.

UN TAGLIO SACRIFICALE

In origine, ricorda la cronaca del Berkeleyside, quando la performance ideata da Eve Ensler era ancora «provocatoria» e come tale era percepita, anche nella scuola di Berkeley «gli studenti attori recitavano il ruolo di donne alle prese con traumi e piaceri sessuali: una sex worker che illustrava i vari tipi di orgasmi possibili; una donna che raccontava gli abusi sessuali subiti da bambina».

Quest’anno, invece, Mara Halpern e Daphne Eleftheriadou, le due registe 17enni incaricate di dirigere l’annuale replica della manifestazione alla Berkeley High School (entrambe in passato hanno già recitato due volte I monologhi della vagina), hanno voluto stravolgere il copione per aggiornarlo a un’epoca ormai “non binaria”.

«Le registe dicono di essere consapevoli che stanno facendo un “sacrificio” tagliando “I monologhi della vagina”, ma hanno lavorato per creare uno spettacolo che mantenga il format e altri aspetti apprezzati del suo predecessore, pur modernizzandone il contenuto».

POTEVA MANCARE IL SOSPETTO DI RAZZISMO?

Dei 45 monologhi composti volontariamente dai compagni di scuola, le due ragazze co-registe ne hanno selezionati 20 in modo da non far sentire a disagio gli spettatori privi di vagina e quelli scontenti della stessa. Tuttavia il motivo dell’adattamento non è solo sessuale: c’è anche il problema del razzismo, del privilegio bianco, o dell'”appropriazione culturale”, come si dice oggi.

Spiega il Berkeleyside:

«Con l’evolversi della concezione dell’identità di genere da parte della società, “I monologhi della vagina” sono stati criticati per l’equiparazione tra la femminilità e il possesso di una vagina, quindi per l’esclusione delle esperienze di sessualità transgender e non binarie (nel 2004, la Ensler aggiunse un monologo scritto dal punto di vista di una donna trans). Altri monologhi sono stati presi di mira perché trattano o giudicano da una prospettiva esterna i problemi della violenza sessuale e del sessismo in paesi come la Repubblica democratica del Congo e l’Afghanistan.

“C’era questo strano elemento del ‘salvatore bianco’ che dava [all’iniziativa] l’aria di un gruppo di persone molto privilegiate al centro di un palco che raccontano storie sulla Repubblica democratica del Congo”, dice la Halpern. “È un cambiamento di mentalità, dire che abbiamo bisogno di osservare noi stessi prima di guardare dall’alto in basso tutto quello che accade in altre parti nel mondo. Di cose che accadono in questo campus, ce n’è abbastanza per riempire uno spettacolo”».

I “NUOVI” TEMI

Di quali temi si parlerà dunque alla Berkeley High School, se la vagina non ha più diritto ai suoi monologhi così poco inclusivi? Ovvio: immigrazione, controllo delle armi, #MeToo.

«In uno dei brani dei “Nostri monologhi”, “Vivere il sogno”, uno studente descrive l’immigrazione negli Stati Uniti dal Messico, l’attraversamento del confine senza la propria madre. Un altro brano, “Fate qualcosa, qualunque cosa”, affronta la paura delle sparatorie in scuole come la Berkeley High. Un altro ancora tocca gli stessi argomenti che ispirarono la Ensler, ma con l’aggiunta di quella sorta di dolorosa e pressante autoanalisi che le registe sentivano mancare nelle esibizioni passate. In “Le cose che vorrei poterti dire”, cinque studenti parlano di molestie e aggressioni sessuali all’interno della comunità della Berkeley High».

Significativo è anche il fatto che la stessa giovane regista si senta in dovere di «giurare» al giornale che sì, davvero a scuola non si fa altro che parlare di queste cose.

I PRECEDENTI

Come riporta The College Fix, comunque, non è la prima volta che la “vagina” dei Monologhi della vagina si ritrova mutilata dalla mannaia politicamente corretta. Solo nel 2019, qualcosa di simile è già avvenuto nel Missouri e nel New Jersey. Alla Washington University di St. Louis, infatti, i Vagina Monolgues sono divenati i [Blank] Monologues (“[blank]” come lo spazio bianco da compilare in un formulario) allo scopo di «creare un ambiente dove poter discutere liberamente e senza giudizi di esperienze sulla sessualità, l’immagine del corpo e le vagine». Mentre nella prestigiosa Princeton University, sempre l’anno scorso, I monologhi della vagina sono stati rimessi in scena alla maniera classica, però con l’avvertimento che «la nostra idea di che cosa significhi essere una donna e l’avere una vagina non sono la stessa cosa».

Foto Ansa

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