Vendere? Ma siete pazzi?

Di Bottarelli Mauro E Piccinini Pietro
04 Dicembre 2003
Abbiamo chiesto agli opinion leader se firmerebbero un appello a Berlusconi per risolvere il conflitto di interessi vendendo le sue azioni. Quasi tutti dicono di no

Domanda: quanti vorrebbero (sul serio) che Silvio Berlusconi risolvesse (sul serio) il suo conflitto d’interessi? Quanti girotondini antiberlusconiani sarebbero disposti a rinunciare ai loro videoclip, film, libri e libelli prodotti e distribuiti da aziende berlusconiane? Quanti satiri, anchorman, imbonitori televisivi antiberlusconiani sarebbero disposti a passare in tv sotto padrone non berlusconiano? Abbiamo girato la domanda ad alcuni eccelsi giornalisti di entrambi gli orientamenti politici. Domanda che ai nostri interlocutori abbiamo posto così, piatta piatta, da uomini della strada: «Sottoscriverebbe il seguente appello al Cavaliere, “Caro Presidente, venda tutte le sue aziende, tenga solo il Milan, risolva il suo conflitto d’interessi, faccia lo statista a tempo pieno”?»

Enrico Mentana, direttore del Tg5, ha la voce ferma e l’esordio simpaticamente censurabile. «Col cazzo che la sottoscriverei una proposta del genere! Anche perché, se permetti, non mi entusiasma l’idea che l’azienda in cui ho buttato il sangue per dieci anni sia venduta al primo Murdoch che passa. E non solo per me, ma per gli oltre 20mila dipendenti Mediaset. Detto questo capisco la vostra provocazione, ma lo confesso, per me è un po’ la sindrome del “toccatemi tutto ma non il mio Breil”». Evviva la sincerità. «E comunque: in dieci anni di lavoro, nessuno, tantomeno il Berlusconi politico d’opposizione prima, quello premier di adesso, mi hanno mai detto cosa devo fare o dire al Tg5». Merci. Altrettanto cristallina, anche se meno granitica, è l’opinione del direttore de Il Tempo, Franco Bechis. «No, non la sottoscriverei anche se formalmente metterebbe le cose un po’ più a posto. È decisamente il caso di ricordare che la libertà di informazione è un’altra cosa e non passa da questo problema. Il tema di fondo c’è, indubbiamente, ma è un’arma che si è già spuntata da sola: quando uno ha una legislatura intera, come ha avuto la sinistra, per fare una legge ad hoc sul conflitto di interessi, e non la fa, allora significa che forse il tema non è così vitale per la vita politica, non è “il” vulnus della democrazia. Il problema semmai è che tutti i media sono in mano ai grandi gruppi industriali. Questo sì che è un ostacolo serio per il pluralismo». Più titubante è Gigi Moncalvo, direttore del quotidiano leghista la Padania: «Sì, la sottoscriverei però…». Però? «In un’economia di mercato una vendita presuppone non solo l’esistenza di un potenziale acquirente, ma anche di una offerta congrua. Non mi pare giusto svendere quanto creato in tanti anni di lavoro. E poi c’è un altro aspetto che non mi convince: perché Berlusconi dovrebbe privare i suoi figli del diritto e del dovere, dell’onere e dell’onore, di proseguire nell’attività imprenditoriale creata dal padre?». Padanamente strappalacrime.

Willing e no
Più determinato di Condi Rice e più spietato di Edward Luttwak è invece Carlo Rossella, elegantissimo direttore di Panorama, uno che di dubbi non ne ha proprio. «No, non sottoscrivo assolutamente la vostra proposta per il semplice fatto che il conflitto d’interessi non esiste, è un’invenzione. Berlusconi controlla i media italiani? Ma non fatemi ridere! Fate i conti, prendete giornale per giornale, settimanale per settimanale, telegiornale per telegiornale, e valutate dove sta questa presunta ingerenza berlusconiana. Dalla parte di Berlusconi ci sono soltanto Il Giornale di Maurizio Belpietro e il Tg4 di Emilio Fede. Dei talk show televisivi, poi, non parliamone proprio: basta seguirli per cinque minuti per capire da che parte stanno. Per quanto mi riguarda, come direttore di Panorama posso solo dire che è un giornale liberissimo: non ho mai subito pressione alcuna, in nessun caso e per nessun motivo. Cosa che non accade con altri editori, basta leggere i loro giornali». Willing, non c’è che dire. Inspiegabilmente kafkiana è invece la non risposta di Sandro Curzi, direttore del ricomunista Liberazione, uno da cui ti aspetteresti in automatico: «E sarebbe anche ora che il Padrone vendesse tutto e magari si dimettesse anche dalla politica!». La segretaria del direttore del quotidiano del Prc ci invita cortesemente a porre la questione via e-mail. Siamo nella tarda mattina di un mercoledì, offriamo a Curzi l’agio di una risposta entro 48 ore. Risposta dopo 48 minuti dalla segreteria: «Il direttore è spiacente ma è molto preso e i tempi per la risposta sono troppo stretti». Domanda: quali dubbi albergano nella mente dell’ex direttore di TeleKabul? Onore al prodiano Gad Lerner, conduttore de L’infedele su La7, che non ha dubbi e risponde sul tamburo: «Sì, la firmerei, anche se oggi collocare sul mercato le aziende di Berlusconi non sarebbe semplicissimo. E comunque sarebbe meglio dello status quo attuale. Mi starebbe bene anche se le acquistasse Murdoch, il dibattito politico diventerebbe finalmente più sereno». Il solito fuoriclasse Giuliano Ferrara è telegrafico: «Berlusconi non può vendere». E perché? «Perché il suo fascino è proprio questo: il fascino del padrone».

In teoria sì, in pratica no
Francesco Merlo, ex penna di punta del Corriere della Sera oggi passato a Repubblica, si attorciglia un po’ troppo, causa cultura del sospetto. «Sì, certo, la sottoscriverei. Però dovrebbe essere una vendita reale, non una svendita, non un trucco». Beh, se uno vende, vende, che c’entrano i trucchi? «C’entrano, c’entrano. Scusate, ma perché secondo voi Berlusconi non ha ancora venduto?». Scusi, Merlo, ma è di questo che stiamo parlando, no? «No, mi pare proprio che il capo non ha nessun intenzione di risolvere il suo problema che, visto dall’Europa, è enorme. Per cui alla fine, teoricamente, la vostra proposta la sottoscriverei. Ma poi in pratica no». E perché? «Perché non ho nessuna fiducia nel fatto che lui voglia risolvere sul serio il suo conflitto di interessi. Se avesse voluto risolverlo lo avrebbe già fatto, questo è il sospetto che io ho. Io non ho pregiudizi ideologici, come tu sai, però il conflitto di interessi non è ideologia». Evvabbé. Merlo non ha pregiudizi ideologici. E Antonio Socci, conduttore di Excalibur, ce li ha? «No, e non sottoscriverei affatto perché non ne vedo la necessità. Mi dite per favore quali e quanti grandi imprenditori, in Italia, non hanno un problema di conflitto d’interessi? No, questa di vendere tutto, a me, francamente non pare una grande idea. E poi: ma ti pare che in Italia non ci sia la libertà d’informazione? Basta guardare i giornali! È una cosa ridicola. La censura?! Censura di che? Quando uno fa un servizio pubblico non può fare quello che vuole, ci sono delle regole, punto e stop». Giorgio Bocca, editorialista di Repubblica e censore a tempo pieno del Cavaliere, sospetta di finire in chissà quale trappola. Perciò, dipietristemente, non ci sta. «No, tanto lui non venderà niente, sono esercizi a vuoto, non ha mai venduto niente, questi giochi non mi interessano, mi dispensi». Dispensato. Giampiero Mughini, giornalista, scrittore, opinionista e collaboratore de Il Foglio, non perde certo l’allegria. «Naturalmente, come tutte le proposte semiserie, è molto seria. Nel senso che certamente chiarirebbe una posizione, uno status, e quindi scioglierebbe questa contraddizione tra lui proprietario e lui leader politico. Naturalmente, come tutte le proposte semiserie che sono state fatte all’umanità da Jonathan Swift in poi, non verrà accolta».

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