Veleno del sè

Di Marina Corradi
22 Gennaio 2004
Normalmente non ci stiamo a pensare, così come non pensiamo che respiriamo

Normalmente non ci stiamo a pensare, così come non pensiamo che respiriamo. Fidarsi del prossimo è in un certo senso altrettanto naturale, e indispensabile. Da quando al mattino esci di casa, e ti fidi dell’operaio che ha revisionato l’ascensore. Sali su un treno, e ti fidi di chi lo guida, bevi un caffè al bar, e non ti sfiora l’idea che il barista l’abbia avvelenato. Senza questa implicita fiducia non potremmo andare avanti, costretti come saremmo a un paranoico stare in guardia, a un disperato difenderci da pericoli così numerosi da non essere affrontabili.
Da un paio di mesi però avanza un fenomeno marginale ma inquietante, di cui media e Tv dopo un iniziale clamore han preso a parlare a bassa voce, su sollecitazione della magistratura che temeva l’allargarsi della psicosi. Nonostante questo silenzio, i casi di acqua minerale avvelenata non sono cessati. Ai primi di gennaio le segnalazioni erano 1345 e 294 i casi positivi.
Fatto più preoccupante, la Procura di Venezia, dove si erano verificati i primi casi, ha stabilito che non c’è un unico disegno eversivo dietro a tanti episodi. Nelle bottiglie è stato trovato di tutto, dalla varechina al detersivo, e le segnalazioni sono arrivate da tutta Italia. Una decina di mitomani hanno confessato. Ma, e gli altri casi? Il fatto che quasi tutte le marche siano state colpite porterebbe a scartare anche una guerra a una determinata azienda. Ecologisti allora, in odio alle bottiglie di plastica? Eppure, stando ai magistrati, le “mani” e le modalità sono troppe.
Forse, al principio, un pazzo. Poi, un moltiplicarsi di emulatori. Ed è questa ipotesi che fa davvero paura. Avvelenare, semplicemente – chi, non si sa, a chi tocca tocca – e perché, non si sa – per noia, per nulla. L’aggressività, spiegano i trattati di criminologia, è tanto più forte quanto più è indeterminata. Lo sconosciuto che lascia sullo scaffale del supermercato l’acqua corretta alla varechina ignora chi berrà. E l’acqua non è un genere di lusso. è l’elemento primo, l’indispensabile alla vita, quasi il simbolo della vita stessa. C’è, nell’avvelenare l’acqua – nell’avvelenarla per chiunque, vecchio o bambino di tre anni, s’avvicini e prenda quella bottiglia – una carica di odio profondo, verso tutti. Ma chi, perché? Per sentirsi, per un giorno, importanti? Sinistri segreti di gente all’apparenza come tanta. Vuoti, annoiati, in corsa verso il nulla.
Di acquabomber, per fortuna non è morto nessuno. Ci sono dei feriti però, e non solo quelli che hanno bevuto. è incrinata quella implicita fiducia, quella nemmeno detta certezza che sul prossimo si può contare almeno nel bicchiere d’acqua che beviamo. Invece ecco qualcuno, al supermercato, tastare guardingo il collo delle bottiglie. Sorridendo agli altri in coda come a dire «non ci credo» sorridendo, ma di un sorriso un po’ tirato.

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