Sull’ultimo numero di Bologna Sette, allegato settimanale di Avvenire, è apparso un commento in prima pagina su “Vasco Rossi, anche i guru steccano”. La polemica è sulle ultime esternazioni del cantante che ha recentemente detto che a far uso di marijuana «non è mai morto nessuno» e, a proposito della sua salute, «se era cancro non mi sarei curato. Antidolorifici e Caraibi, ecco quello che avrei fatto. Perché non voglio soffrire, voglio morire allegro».
«Anche un osannato “rocker” – scrive Bologna Sette – non può essere esentato dai limiti dettati dal bene comune». Per poi proseguire scrivendo: «E invece in questa storia, a cui vorremmo “trovare un senso anche se un senso non ce l’ha”, il male c’è. Eccome. Perché, complice il piedistallo della celebrità, si ingannano i più giovani e i più fragili illudendoli che le sostanze non fanno male. Mentre invece portano, e lo sappiamo tutti, se non all’immediato suicidio fisico a quello strisciante e drammatico dell’”io“».
Vasco, oggi, sul suo profilo di Facebook sembra tornare sulla questione con un commento titolato “Prima di tutto definiamo il significato della parola Libertà“. Un fervorino un po’ scontato e molto intriso di luoghi comuni, quelli che di solito si orecchiano nei bar. Ma Vasco Rossi non era lo splendido cantore della precarietà esistenziale, amato da migliaia di fan proprio perché sapeva tradurre in immagini disagi e speranze di una generazione? Insomma: non lo amiamo proprio perché, a differenza dei cantanti impegnati, non ci ha mai fatto una “predica”? Che fine ha fatto quel Vasco? Questo, al massimo, può finire a fare una comparsata con Fazio nel prossimo “Vieni via con me“.